mercoledì 3 luglio 2013

L'incubo delle crocette

...se per caso qualcuno tra quanti leggono fosse in procinto di intraprendere il percorso dell'adozione, sia chiaro: io qui esprimo solo le mie idee (che, come si vede da questo e da altri post, non sempre coincidono con quelle del marito medesimo con cui mi sono messa su questa via, figuriamoci se posso spacciarle come verità universali) e non voglio scoraggiare nessuno. Come si vedrà dal seguito, nella vita c'è tempo per cambiare idea molte e molte volte, sulle cose serie, mentre sul proprio gusto di gelato preferito, sulla birra bionda o rossa, sulla marca di preservativi e di sigarette si può essere adamantini e irremovibili per diverse reincarnazioni. Però sappiate che le crocette sul modulo vi perseguiteranno per settimane, da svegli e da addormentati. Soprattutto da addormentati.

Qui siamo al 27 febbraio 2011.

Adozione, giustamente ci diceva oggi l’assistente sociale, da un punto di vista strettamente etimologico vuol dire scelta. Scelta vuol dire che una coppia sceglie di dichiararsi famiglia per un figlio e che, più tardi, di solito nell’adolescenza, il figlio sceglie se si sente realmente parte di questa famiglia o no.

Le crocette sul modulo saranno il nostro pensiero più importante nei prossimi mesi, ora che il corso è finito. I punti da crocettare sono i seguenti: fascia d’età del bambino, adozione di un bambino solo o di più fratelli, disponibilità ad accettare il rischio sanitario.

E già su questi punti, c’è da discutere per minimo sei mesi.

Ma a casa Castagna il casino è ancora a monte di tutto questo. Perché la domanda è di adozione nazionale e/o internazionale.

E, diciamolo chiaro, tanto questo è il mio blog, io dell’adozione internazionale più ne sento parlare meno mi fido. L’ultima è di oggi: la coppia che ci ha portato la sua testimonianza, peraltro con grande calore e entusiasmo, è andata in Perù a prendere un bambino che sulla carta era sano, “con una prevalenza dell’uso del braccio sinistro rispetto al destro”. Arrivati in Perù, il piccino si è mostrato subito francamente emiplegico sul lato destro. Portandolo in Italia, con esami approfonditi è emerso il problema di una scarsa mobilità anche di un piedino, sempre sul lato destro, ed è saltato fuori il motivo: una bella cisti cerebrale, del tutto inoperabile. Poi è emersa una difficoltà respiratoria, ed è venuto fuori che era necessaria un’operazione al cuore per chiudere un foro tra i due atri. Nel frattempo, a lei è scappato detto che il bambino va dal logopedista, il che fa pensare a un altro ordine di problemi di cui non ci hanno nemmeno parlato.
Ecco, io penso che in Italia non sia possibile prendere un bambino con una cartella clinica palesemente incompleta, quando non volutamente falsata. Certo, alcune cose come il buco nel cuore si possono scoprire solo ad un certo punto dello sviluppo, e questo vale tanto per un figlio naturale quanto per uno adottato. Ma cazzo, prevalenza di uso di un arto e emiplegia sono due cose diverse. Io non sono scema e so che intorno a una cisti cerebrale può venire, per mille motivi, un’infiammazione, che probabilmente darebbe gli stessi sintomi di un tumore al cervello. E se è già stato detto che questa cisti non si può operare, vorrebbe dire cose graziose come terapia antiepilettica, valvola di drenaggio nel cranio, eventuali altri danni temporanei o permanenti, magari di tipo cognitivo, alterazioni della personalità o della capacità di parlare, scrivere, etc.

E che cazzo, non puoi scrivere sulla scheda che un bambino così è sano. O forse puoi farlo, ma proprio solo in un Paese dove ad un bambino che è evidentemente emiplegico non viene fatta nemmeno
una TAC.

Oggi credo di aver vinto la battaglia (ma, temo, non la guerra) facendo presente all’Uomo due punti:
1) LUI non ce la farebbe a reggere l’ansia di una patologia grave, di un ricovero con intervento, di una serie di esami medici. E quindi io dovrei reggere per due.
2) IO ho abitato tutta la vita in mezzo ai medici e so benissimo che io NON sono tagliata per un certo tipo di cose. Per carità, quando c’è un’emergenza si fa fronte come si può, ma qualcuno di voi sa come posso sconvolgermi al pensiero che una persona della quale io mi occupo personalmente, come mio marito, entri in un pronto soccorso o in un reparto ospedaliero anche solo per una stronzata (si veda l‘onfalite dell‘Uomo l‘anno scorso).

Mi sono messa mentalmente nella situazione della coppia di stamattina e ho capito che io sarei stata sommersa dall’ansia, ma avrei dovuto far fronte alla paura del bambino, alla mia e a quella di mio marito, praticamente da sola. E credo altresì che, appena avessi avuto un momento libero, sarei andata fino in Perù a prendere a calci chi aveva compilato la scheda e chi si era occupato del bambino fino al nostro arrivo.

MA STIAMO SCHERZANDO?

Certo, la presentazione dei bambini a rischio di mezzo mondo che stamattina ci hanno propinato, con tanto di filmati dalle tematiche rasserenanti (bambini di tre anni che fabbricano munizioni, ragazzini di dieci con i kalashnikov in mano, piccoli vietnamiti in un orfanotrofio spoglio, ballerini di strada e mendicanti rom cinquenni, brasiliani scalzi e soli addormentati per terra, e chi più ne ha più ne metta) potrebbe indurmi a sentirmi una merda. Beh, io ho appena sentito la vera storia della famiglia di Giovane Lupo da una collega con cui non ne avevo mai parlato, e sapete cosa vi dico? Sono più che mai del parere che in Italia siamo pieni di bambini che andrebbero tolti alle famiglie naturali e dati a qualcuno in grado di amarli e proteggerli, senza stare a scomodare i kalashnikov, l’HIV, i meninos de rua e compagnia bella.
Cazzo, lavorate un anno con una baby prostituta ex tossicodipendente di quindici anni, o con la figlia di un alcolista manesco, o con un bambino che ha visto il padre ammazzare la madre: poi mi dite se, per fare una cosa buona, c’è bisogno di prendere l’aereo e andare a farsi coglionare da gente che si fa dare delle mazzette mica da ridere, ti ricatta a suon di documenti che non vanno bene e di permessi che devono essere oliati se no non arrivano, e per premio poi ti falsa le cartelle cliniche. Lo so, che non è colpa dei bambini. Ma mi pare di andare a alimentare un sistema di merda, oltre che di ficcare me e la mia famiglia in una situazione potenzialmente gravissima senza le dovute informazioni.

Direi che i dubbi che avevo con oggi hanno trovato sufficiente conferma.
Ora vediamo, quando si tratta di presentare la domanda, se bisogna discuterne ancora con l’Uomo e come.

E poi avremo tempo per pensare alle altre crocette.

Sulle quali, statene certi, le occasioni di nottata insonne non mancheranno. Anche perchè lo stesso Uomo che, due settimane fa, tirava a escludere categoricamente i bambini sopra i tre anni, stasera, alla domanda sul limite massimo d'età "crocettabile" ha dichiarato il numero quattordici. E lì io, solita pragmatica più realista del re, a fargli notare che un ragazzino di quattordici anni nel giro di sei mesi ti va alle superiori, gira da solo con le chiavi di casa etc. Che forse, ma solo forse, eh? è meglio fermarsi nei dintorni dei dodici, quando un ragazzino ti lascia ancora un paio d'anni per arrivare a certi traguardi (meditavo cupamente sulle mie ultime conversazioni in fatto di sessualità preadolescenziale con una mia alunna di terza, mentre gli dicevo ciò, ma anche sugli spacciatori di hashish appostati fuori dalle scuole, sul patentino per il ciclomotore, e cose del genere). Cioè, ma possibile che a parità di età e esperienza lui non si figuri che grana gigantesca è diventare da un giorno all'altro la famiglia di un bambino altrui? Lo devo anche prendere in un'età in cui, se non faccio in tempo a instaurare un po' di rapporto confidenziale e a dare due linee educative anche minime quello mi si droga o mi ingravida la fidanzatina? E chi siamo, i Fantastici Quattro, o solo due sfigati trentacinquenni senza figli?

Mah.
Stasera sono un po' ipercritica, mi rendo conto.
Ma mettetevi nei miei panni. Prima mi porta a vedere la casa della mia vita, poi ritiene che non sia il caso di comprarla. Prima mi dice che l'adozione è una roba complicata e che non se la sente di crocettare il sì per il rischio sanitario, e poi mi riempie la casa di adolescenti provenienti da varie parti del mondo con schede immaginarie che non corrispondono alle loro condizioni reali.

Sono alla seconda tazza di tisana allo zenzero e non c'è verso che io digerisca la cena di stasera, ahimè.

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