mercoledì 17 luglio 2013

Autorizzati. E miracolati

Va beh, io le chiamo SS, ma la verità è che con gli assistenti sociali in genere io vado, sono sempre andata, d’accordo. Solitamente li incontro in ambito professionale e trovo quasi ogni volta che siano gente che, come tanti insegnanti, si spende anima e corpo per tirar fuori dai guai bambini e ragazzi.

Gli psicologi, se si eccettua la mia magnifica Fata Bionda, sono invece già tutta un’altra cosa. Cioè, varie volte, di loro, ho pensato che nel loro mestiere fossero competenti e sicuri, ma umanamente, nei normali rapporti con le persone, fossero un disastro. Nervosi, aggressivi, supponenti, ansiosi come il peggiore dei loro pazienti. Può darsi che molti di loro abbiano studiato psicologia per curare se stessi (e sia chiaro: anche io mi sono iscritta a Psicologia, dopo Lettere, e SICURAMENTE la motivazione nel mio caso si avvicinava molto a quella, poi però per fortuna ho studiato con passione solo gli esami di Antropologia e di Biologia, mi sono tenuta le mie paturnie e ho lasciato perdere).

Sono i giudici che invece vorrei vedere spazzati via dalla faccia della terra, quando si tratta di adozione. Ma magari siamo solo stati sfortunati.

Tutto questo per dire che oggi abbiamo avuto la riprova che tra il pianeta Adozione e il satellite Affido c’è una sostanziale differenza.

Abbiamo chiesto se potevano autorizzarci a portare S. fuori per qualche giorno, con pernottamenti fuori dalla comunità, e detto e ribadito che, se non ci avessero autorizzato, ci saremmo arrangiati lo stesso per vederla in giornata, come abbiamo fatto finora. E’ partita la psicologa, è partita la responsabile, sono partite le assistenti sociali, e in esattamente SEI GIORNI il permesso scritto è stato accordato.

Il ragionamento sotteso è sicuramente stato, perché la responsabile me lo ha anche riferito: S. sta bene, insieme sono felici, devono conoscersi meglio, e poi non è giusto che ‘sti due poveri cristi non possano farsi un po’ di vacanza in montagna o al mare per star dietro a lei: in fondo, sono due persone disponibili e responsabili, è un peccato fargli passare l’estate in città.

A parte il fatto che siamo felici e che S. mi ha polverizzato un timpano con un urlo di gioia al telefono appena gliel’ho riferito, mi è venuto in mente che questo atteggiamento (sono due brave persone che si danno da fare, non penalizziamoli) è l’ESATTO CONTRARIO di quel che abbiamo vissuto con il team adozioni.

Dove invece la nostra richiesta di portare via con noi S. per qualche giorno, che serve soprattutto a stare tutti insieme in una situazione quanto più possibile normale e vicina a una famiglia vera, oltre che a levare tanto noi che lei dal caldo, sarebbe stata presa con sguardo schifato e biasimo, perché, e questo non lo dico assolutamente solo io, quando chiedi di adottare un figlio il protocollo evidentemente prevede che tu TI SENTA COLPEVOLE. Che tu sia sospettato di coltivare motivazioni abiette, di avere un rapporto automaticamente malato con la tua psiche e/o con quella degli altri, di volere un figlio per puro egoismo, di voler trattare un figlio come un tuo accessorio à la mode e/o come un catino in cui vomitare le tue personali frustrazioni, i tuoi traumi, i tuoi bisogni.

Figuriamoci come sarebbe stata letta una frase come “Beh, noi siamo insegnanti, ora abbiamo due mesi praticamente liberi da impegni, la casa in montagna e i parenti a Genova, ci farebbe piacere portare S. con noi qua e là almeno qualche giorno, ma se non si può faremo come abbiamo fatto finora.” Anatemi, scomuniche, pubblica esecuzione.

I due statalidimerda nullafacenti (e con la casa in montagna, bastardi). I due egoisti che vogliono sradicare la bambina dal suo contesto e sbatacchiarla in qua e in là per l’Italia perché loro devono fare le ferie. Nella migliore delle ipotesi, i due insicuri che non si sentono legittimati nel loro essere coppia se non possono esprimersi in una dimensione di genitorialità (come parlo bene lo psicologhese, vero?), o i due ingenuotti superficiali che credono di poter scavalcare le umane e le divine leggi del Concilio Supremo degli Stronzi del Sommo Tribunale, e per questo saranno biecamente puniti.

Tutto sommato sono sempre più convinta che in questa storia capitata per caso con A. e S., almeno finchè non si arriverà al maledetto TM, abbiamo a che fare con gente normale, con teste normali, dotate di normale buon senso, che ci considerano normali adulti, senza figli e senza esperienza, ma pieni di buone intenzioni (di cui peraltro è lastricata la strada per l’inferno: ma infatti, se in paradiso ci vanno i rigorosi, i sospettosi e i fondamentalisti, è meglio se andiamo per di là, direi).

Oltre a questa riflessione vorrei peraltro aggiungere che a me, quest’anno, non me ne può fregare di meno di andare al mare (quando mai, a essere onesti?) né tutto sommato in montagna, sebbene la seconda opzione talvolta venga in mente per l’affetto verso i miei posti, e come una risorsa notevole, ora che è venuto il caldo. Mi frega di stare con S. da qualche parte e che si abitui a passare la giornata con noi. In seconda istanza mi frega, e non poco, di portare in vacanza l’Uomo che, diciamolo, è come un bambino, se si annoia è una piaga mortale.

Poi non so come la prenderà lui quando gli dirò che secondo me S. dorme da noi già domani sera, così giovedì siamo belle comode per andare in piscina.

Perché il neogenitore Uomo sta facendo un po’ fatica a organizzare la nostra vita intorno a S. Credo che ultimamente abbia fatto un salutare bagno nella realtà, e stia pensando con timore a quando la sua mogliettina Castagna non sarà più tutta per lui e una terza persona dividerà il nostro appartamento. Infatti è diventato tutto una tenerezza, tutto una nostalgia, tutto un’overdose di miele e marshmellow: ve lo devo dire, non mi sentivo così corteggiata da… umm vediamo… otto anni?

Insomma, capirete che, tra il mio principe all’apice della pucciosità e la mia principessina tutta una coccola, io quest’estate sto all’ingrasso, mi sento pienamente appagata e posso soffiare e sorbire (contrariamente a quanto sostengono i Genovesi, con un noto detto locale) anche se me ne resto in città. E comunque, non resteremo in città!!! Siamo la Famiglia d’Appoggio Ufficialmente Autorizzata! Eheheheh.

Qualcosa peraltro mi suggerisce che dovremo andarci piano. Il tirocinio fatto con A., che, diciamolo serenamente, andava in palla di fronte a ogni cosa nuova, è servito a calarsi un pochino nei panni di questi ragazzini che da troppo tempo non vivono in famiglia, o che una famiglia degna di questo nome in fondo non l’hanno mai conosciuta. Non si può portare S. a destra e a manca in luoghi nuovi, in mezzo a facce nuove, e inserirla bel bello nella nostra vita. Ci vorranno passi piccoli e cauti, per fare in modo che non si scompensino i suoi fragili equilibri.

E’ francamente terrorizzante la responsabilità che ci stiamo prendendo, eppure quando penso a tutti i piccoli tasselli con cui vorrei riuscire a comporre, un po’ per volta, la nuova vita di S., sono enormemente attratta dalla sfida, mi sento miracolata anche solo dal fatto di poterci provare.

E’ questo che secondo me quelli dell’adozione non capiscono. Che per formare una famiglia (e credo sia così per qualsiasi tipo di famiglia) ci vogliono tantissimi fattori, ma il miracolo è una componente essenziale. E contemplarlo ridendo, invece che stare lì con gli occhi bassi a flagellarsi, non vuol dire per forza essere stupidi, né superficiali, né egoisti. Forse vuol solo dire viverselo.

 

 

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