sabato 28 settembre 2013

Datemi un piano d'appoggio

Ve lo devo dire. Io credo che come zia avrei creduto di essere molto più presente, ma fino a un certo limite penso di non essere stata un’amica di merda per le mie conoscenze che sono diventate genitori negli ultimi nove anni (partiamo da Nipotina, che è la più “vecchia” tra i figli di amiche strette). Sicuramente avrò detto delle ingenuità, delle banalità o anche qualche cattiveria involontaria dettata dall’inesperienza, ma ho ascoltato molti sfoghi cercando di tenere presente che crescere un figlio comporta un dispendio di energie terrificante, molte preoccupazioni, tante domande su se stessi e sul resto del mondo. Ho cercato di non sottovalutare la stanchezza fisica accumulata dalle amiche nel corso di migliaia di notti in bianco, dato anche il fatto che tra i loro figli contiamo alcuni asmatici, diversi intolleranti a cibi vari e almeno due creature che non hanno dormito una notte intera per oltre un anno e mezzo, per motivi da accertare; quindi alcune mie amiche si sono sparate dei periodi molto lunghi di calvario, oltre alla normale trafila di influenza, varicella, bronchite, mal di pancino, tosse, vomitino, incubo, mamma ho paura, mamma ci sono i tuoni, mamma giochiamo? nel cuore della notte che ovviamente i genitori si sparano di default anche con il bambino più in forma e più dormiglione della storia. Ma perché dico ciò? No, perché adesso molti bimbi sono grandicelli. Nipotina, Coccodrillo, Orsetto, il Titti vanno già a scuola, laPulce e ilPulcino comunque sono cresciuti, e insomma la maggior parte delle mie amiche ha recuperato la capacità di rendersi presentabile con un normale correttore per le occhiaie, invece delle tre mani di stucco che ci volevano qualche anno fa. Inoltre hanno ripreso a fare sport, a uscire la sera, a mettersi i tacchi, insomma, sono rinate e avranno in parte dimenticato le faticacce del passato. Sono persone magnifiche, mi vogliono un bene dell’anima e sicuramente mi hanno perdonato le frasi idiote che posso aver detto. Ma vorrei che sapessero che sto attraversando quella fase in cui ogni divano – letto – poltrona – sedia – sedile – mensola - termosifone – stipite – nastro trasportatore del supermercato cui io mi possa appoggiare mi tenta irresistibilmente. Vorrei che sapessero che tra ieri e oggi ho rubato pisolini letteralmente ovunque tranne che a scuola e nello studio della commercialista (dove però mi sono seduta due minuti lungo la scala) e che ogni volta che ho messo le chiavi nella porta di una casa (ieri erano tre case diverse) ho fatto il calcolo di quanti minuti potevo spendere dormendo, quante cose potevo rimandare a dopo aver dormito e quante probabilità c’erano che suonasse il telefono mentre dormivo. E ogni singola volta ho pensato a loro e ho attribuito medaglie invisibili per tutto lo sbattimento a tutte le mamme (e per essere onesti anche a qualche papà) di cui ho seguito le vicende negli anni scorsi. Se penso che mia figlia si veste – lava – nutre – sposta – organizza anche da sola, e io sono completamente prosciugata lo stesso, mi viene voglia di chiamare ogni amica per chiederle scusa delle volte in cui non l’ho completamente capita. Ora scusatemi, ma l’Uomo e la Princi sono allo stadio, per cena ho già preparato e sono sola. Vado a letto.

domenica 22 settembre 2013

Tigri


“E' malata, la mamma!”

Con questa perentoria affermazione (che ha fatto saltare sul divano il mio corpo febbricitante) la Principessa ha accolto l'Uomo in casa, l'altra sera.

Uomo che, peraltro, ieri è stato definito “papino”, il che penso gli abbia sciolto completamente via le ossa.

Ho il raffreddore. A parte le continue emicranie, di cui sono certa che sono un aspetto costante dell'essere genitore che le amiche mi avevano prudentemente taciuto, e le mestruazioni da campionato, che io attribuisco al resettarsi degli ormoni in modalità mamma, è la prima piccola magagna che mi viene da quando S. è entrata nella nostra vita.

Lei mi tiene d'occhio inquieta: “Guarisci...” mi prega.
“S., amore, è un raffreddore, eh, non una malattia mortale, almeno credo. Stai serena.”

Io so esattamente perchè ho preso questo virus che girava in classe e a scuola da qualche giorno.

Perchè posso permettermelo.

Questa settimana, da alcune telefonate della sera e da una chiacchierata in cucina, ho capito che S. è cresciuta, che adesso ha inserito una cosa nuova nel nostro rapporto: ha deciso di prendersi lei cura di noi, come noi ci prendiamo cura di lei.

E inoltre ho capito che mi fido di lei. In quanto femmina. E in quanto ragazzina sveglia. E in quanto mia figlia.

Mi sono sentita come se dopo ere di vagabondaggio nella neve e nel ghiaccio mi si fosse spalancata la porta di una baita riscaldata dal camino. Il tepore che mi si è diffuso nel midollo mi ha detto che questo miracolo supera di molto le mie aspettative relative alla maternità, all'affidamento, diciamo pure alla vita tout court.

Sissignore, io, la traumatizzata a vita da un rapporto problematico con la figura materna, posso avere una figlia femmina, ma soprattutto posso pensare che sono CONTENTA di avere una figlia femmina.

Perchè è femmina nel senso in cui lo intendo io, e perchè io e lei in quanto donne ci siamo riconosciute e abbiamo già fatto squadra. E questo, traumi o non traumi, è quello che ho imparato a fare da mia madre e dal resto della sua famiglia, dove il matriarcato è chiaramente l'unica vera legge e dove si allevano amazzoni da generazioni.

Non s'era ancora vista una piccola guerriera così, in questa famiglia. Ma è evidente che l'Uomo le combattenti se le sceglie con cura.

Non so se saprò mai spiegargli quanto sono sbalordita dal fatto che sia riuscito a portare in casa non solo una figlia, ma la figlia, forse la sola figlia, che, per pregi e difetti, si può praticamente considerare perfetta per come sono fatta io.
 
A questo proposito vorrei dire una cosa che molti amici stretti sanno già.
 
Sarà perché io sono una combattente, perché ho un carattere di merda o perchè sono del Capricorno, che ne so. Comunque, io ho capito che l'Uomo era giusto per me la prima volta che abbiamo litigato. Ci muovevamo su due semicerchi invisibili intorno al tavolo, al centro della cucina, come due tigri che si studiano per attaccarsi, e nessuno dei due cedeva. Una parte di me ha osservato questa scena come se la vedesse dall'esterno e ha annuito: "Sì, lui va bene." Capivo che tenevamo duro entrambi non per orgoglio o per principio, ma perchè eravamo convinti allo stesso modo di essere nel giusto, e ho saputo allora che nessuno dei due avrebbe mai fagocitato l'altro.
 
Ecco, diciamo che per ora c'è uno squilibrio di forze, S. è un tigrotto che strilla e sputacchia ma non coordina le unghiate, e io un animale adulto che può intimorirla soffiando e tenerla a terra con una zampa. Ma vedo la potenza muscolare in crescita sotto la morbida pelliccia della mia piccola belva, e sono certa che, un giorno, sarà capace di tenermi testa su qualcosa che per lei sarà veramente importante, che se avrò torto mi impedirà di prevaricare su di lei, e che la stimerò per questo.

Sono cinica? non lo so. Al di là delle metafore, io penso che siamo animali, nel profondo. Ognuno di noi cerca di proteggere la specie, imparando a muoversi nella giungla, scegliendosi un compagno adatto alla lotta, e sa di aver raggiunto lo scopo quando uno dei suoi piccoli riesce a dimostrarsi più forte di lui.

Il DNA della coppia, tra l'altro, in natura è importante, ma non quanto la sopravvivenza del branco. Da cui la bellezza di alcuni accostamenti casuali. Come me e S. in piscina insieme.


 
 

 
 
 

giovedì 19 settembre 2013

E intanto

Bisognerebbe anche stare un po' attenti a non lasciare che il blog serva solo per sfogarsi, altrimenti poi tra qualche tempo quando guarderò queste pagine non troverò traccia di tutti i momenti belli e dei grossi traguardi e dei piccoli successi e delle gioie inaspettate, solo della fatica, delle difficoltà e del dolore.

Quindi, tagliamola corta oggi con le lagne: diciamo solo che è una di quelle giornate in cui le dinamiche delle procedure pre-affidamento mi prendono a calci, e io sto come uno preso a calci. Questo per la fatica e le difficoltà con la Principessa, gli educatori, i responsabili, gli assistenti sociali e tutto il fantastico circo dell'affido familiare.

Per quanto riguarda il dolore, il dolore nella mia vita in questo momento ha gli occhi azzurri di A. (ex Evento Cosmico, detto anche Gabbiano, o più recentemente, nella rubrica del mio cellulare, Spilungone, perchè tutti i nomi che iniziano per A devono essere modificati per non passare davanti all'Uomo nell 'elenco). Ma dopo molte settimane di patimento, abbiamo la cura palliativa. Io NON DEVO ASSOLUTAMENTE ricevere telefonate da A. dopo le sette di sera.
Perchè se lui chiama nel pomeriggio, come ieri, che mi ha beccato tra un lavoro in casa e una riunione a scuola, e io dopo aver parlato con lui esco e faccio altre cose impegnative per ore, va bene. Se lui chiama quando la giornata è finita e io ormai devo solo ritirarmi in cucina, mi devasta, perchè ho già posato la maschera e la corazza e la sua voce mi prende a rasoiate dove non ho scaglie né spine per difendermi. Poi sono cazzi di chi deve passare la serata con me, se io ho lo sguardo nel vuoto, o anche se, invece di cucinare, sparisco per una guidata nei boschi.

Fine. Parliamo di cose belle.

Tipo la borsina frigo blu a piccoli pois bianchi che preparo per S. la mattina, quando a scuola è di lunga. Ho appositamente comprato dei post-it a forma di fiorellino per metterci i miei saluti dentro.
Ho vissuto per quarantotto ore nell'alone di felicità che mi ha dato prepararla la prima volta.

Tipo lo shopping duro che abbiamo fatto l'altro giorno: entrate, piombate sul reparto nuoto, scelto costume cuffia accappatoio borsa, provato, cambiato taglia, preso, pagato, fuori. E' la mia anima gemella, io DETESTO fare shopping con chi si attarda e non si decide. Io entro, guardo e esco. Poi un'altra volta entro, compro, pago e esco. E lei e Sanguedelmiosangue sono gli unici che fanno altrettanto. Li adoro entrambi. Lei, se io non l'avessi interpellata tre volte per un parere rapido e non l'avessi per fortuna obbligata a provare il costume, avrebbe sistemato le sue compere e le mie in quattro minuti. Zan: questo sì, zan zan anche questo, zan: questo no, zan zan: ecco questo va bene per te, e hop, finito.

Peraltro ho finito di preoccuparmi di cosa mettermi. Ci pensa lei. Questo sì questo no, mettiti quello con quell'altro. Presto penserà anche al mio taglio di capelli. Il trucco me l'ha già modificato quest'estate e direi che ci ho solo guadagnato.

Altre cose belle: la prima mattina lavorativa in cui ci siamo svegliati tutti insieme, e siamo usciti, io sparata alle sette e mezza, l'Uomo placido alle sette e quaranta, e infine lei. Ognuno alla sua scuola, e, io almeno, con la sensazione che sia sempre stato così. L'espressione di sincera gioia sul volto della tutor di S., che ha saputo di noi da me il primo giorno di scuola, e ha già ricevuto l'Uomo per parlare del suo rendimento e dei suoi prossimi impegni di stage etc.

Le piccole cose: “Visto, che mi sono tagliata le unghie dei piedi?”, “Questo come funziona?”, “Guarda i miei pettini professionali”, “Che brutto questo cinghiale nella foto” (era un ippopotamo, abbiamo riso fino alle lacrime). Accompagnarla dal medico, dal dentista. Andarla a prendere a scuola. Interpellare perfetti sconosciuti su questioni di tatuaggi. Molestare le commesse dei negozi con richieste impossibili. Tenerla stretta e, in una memorabile occasione, dormire schiena contro schiena con lei. Aspettare di essere in un bar o in un negozio dove nessuno mi conosce per buttare lì un “mia figlia” in un discorso.

Come dicevo alla Frenci, disastri e miracoli a getto continuo.

lunedì 9 settembre 2013

Allucinante

E io che pensavo che il mal di stomaco che mi veniva quando litigavo con mia madre fosse senza paragoni.

E io che pensavo che non si potesse stare peggio di quando litighi con l'uomo della tua vita.

Beh okay.

Non avevo ancora mai dato uno schiaffo a mia figlia.

Non che prima io avessi una figlia che dava una sedia in faccia ad un'altra ragazza, e che poi mi risponde mentre io la sto sgridando e quando faccio per passarle l'Uomo al telefono dice "non me ne frega un cazzo di quel che mi vuole dire".

Che già ti sto facendo un mazzo così per quel che hai fatto. Poi ti sto mettendo in punizione e tu diventi pericolosamente reattiva perché ti levo il telefonino. Ma quando cerco di passarti l'Uomo che ti deve dire a sua volta che ti meriti la punizione, e tu fai così, benissimo allora io sono un genitore, sono SEMPRE stata un genitore, non ho dubbi su cosa farei come genitore, ho l'esperienza della genitorialità inscritta nel DNA dall'alba dell'universo, ho l'istinto di quando è ora dello scapaccione secco, e non potrei mai reagire diversamente che dandoti una sberla, neanche se questo significasse perderti per sempre e far timbrare sulla pratica di affido che siamo l'ultima famiglia sulla terra cui ti affiderebbero.

Perché questo è quello che io madre farei con qualunque dei miei figli e tu, anche se sulla carta non esiste ancora da nessuna parte, sei mia figlia e figlia dell'Uomo e non lo sei solo quando ti sveglio la mattina e tu sorridi, non lo sei solo quando ti addormenti sul divano tra me e lui, non lo sei solo quando parliamo dei tuoi cento milioni di amici e duecentosettanta miliardi di potenziali ragazzi. Lo sei a maggior ragione quando bisogna fermarti prima che tu faccia peggio. E la cosa tremenda non è stata lo schiaffo, perchè tu ormai mi conosci e sei perfettamente in grado di valutare cosa significa.

No, se io ora sono qui con questo mal di stomaco da campionato mondiale, e benedico l'esistenza di questo diario condiviso con altri, di questo spazio per scrivere e pensare, non è perchè tu hai fatto una cosa molto grave, non è perchè ti ho schiaffeggiato, non è perchè ultimamente sei un angelo sereno e gioioso con noi e una bestia quando ti riportiamo in comunità.

E' perchè Santa Maria degli Orfani ha detto che non dovevo levarti il cellulare e nemmeno mollarti una sberla.

O meglio. Non è esattamente questo che mi fa patire.

Quando Santa Maria ha capito che facendomi restituire il tuo telefono mi minava il terreno sotto i piedi, abbiamo trovato un compromesso. Te lo ridarò domani.

Nessuno pensa che qui sia una gara a chi è più severo, ma tutti siamo consapevoli che tu hai bisogno di paletti. E se esageri vanno bene anche i recinti elettrificati, eh, che i paletti una con il tuo pelo sullo stomaco pensa magari di poterli ignorare, mentre non si può.

Quanto allo schiaffo, lei ha specificato che parla da educatore e che sa che per un genitore è diverso. Ma ha parlato con te dicendoti fuori dai denti che ho sbagliato.

Io, come ho detto sopra, sono QUESTO tipo di genitore. Quindi non mi rimangio lo schiaffo e tu sai benissimo che se rifacessi questo tipo di scena ne prenderesti un altro, Santa Maria o non Santa Maria. Su questo non ho dubbi che io e te ci siamo capite benissimo. Pazienza se Santa Maria pensa che io abbia scavalcato il mio ruolo.

No, la cosa per cui sto veramente male ora, è un'altra, e sto di merda anche se con Santa Maria e anche con te ci siamo lasciate bene, anche se l'Uomo mi ha aspettato a casa per vedere come stavo e invece di sgridarmi mi è stato a sentire e mi ha dato ragione, e anche se ha detto che stasera non ti chiamerà perchè "non posso essere sempre quello che la consola, solo che se arrivo quando il mazzo se l'è già preso due volte non posso nemmeno rifargliene un altro" e questo mi è piaciuto moltissimo.


Il punto è un altro. Se qui legge qualcuno che ha affrontato l'esperienza dell'essere e non essere genitore al tempo stesso, durante le fasi di un affido o un'adozione, capirà. Se legge qualcuno che deve ancora passarci... non credo che si possa preparare a sufficienza a una sensazione del genere, ma per quel che vale è questa la mia esperienza: Santa Maria, commentando quel che è successo oggi, ha detto che noi per ora non abbiamo ancora il ruolo di genitori.

Ora.

Un mese fa, di fronte a una frase del genere, sarei stata zitta, avrei ingoiato e mi sarei fatta un pianto frustrato in qualche angolo di strada sotto gli alberi.

Oggi le ho detto la mia.

E la mia è questa: se io e l'Uomo andassimo e venissimo dalla comunità per portarti fuori, come facevamo all'inizio, sarebbe vero. Ma dopo tre settimane sotto lo stesso tetto in montagna, tre settimane in cui c'è stato di tutto, in cui abbiamo dovuto litigare, ti abbiamo messa in punizione, premiata, accompagnata, curata, coccolata, ascoltata parlare, tre settimane in cui hai anche visto una lite spaventosa tra noi due, tre settimane in cui abbiamo affrontato insieme un distacco terribile e improvviso da A. che nessuno di noi ha potuto salutare né consolare quando è stato portato via di peso dalla comunità, tre settimane così... No, adesso è tutto cambiato, è tutto diverso. E' tutto irreversibile.
Adesso sulla carta non c'è comunque ancora niente, ma a noi non serve più niente di scritto, perchè dentro il nostro destino c'è già segnato tutto.

Ho visto Santa Maria capire, mentre le parlavo.

Capire che, se anche ho sbagliato qualcosa oggi, se anche rispetto e tengo da conto la sua opinione di tecnico dell'educazione di ragazzi dalla storia difficile, ormai è tardi per dirmi chi devo essere, ormai non posso più prendere ordini da fuori. Perché, appunto, ormai LORO sono fuori, e DENTRO ci siamo noi tre.

E mentre penso a queste cose che ho espresso mi rendo conto che ho paura. Ho veramente, veramente paura. Perché se ci sono dentro così, se ci siamo dentro così, siamo veramente, veramente TANTO vulnerabili da parte di un tribunale, di un qualsiasi parente di S. che si faccia vivo di punto in bianco, di una psicologa o un altro membro del team che ci tratti secondo protocollo.

Questa paura è quella cui non potrei aiutare nessuno a prepararsi, nemmeno fornendo questo esempio, che a me sembra così chiaro, di come si stia a essere e non essere genitori di qualcuno. E' peggio di qualunque altra cosa, perchè non si può nemmeno fermarsi a rabbrividire, a vomitare, a piangere, la valanga è in moto e non solo non si ferma, ma accelera e aumenta di volume.






domenica 1 settembre 2013

Nottatine

Pensavo di regalare all'Uomo e a me stessa una collezione di t-shirt, felpe e maglie a maniche lunghe con la scritta
 
 
Siamo una
FAMIGLIA AFFIDATARIA:
di annoiarci abbiamo finito, mi sa
 
Abbiamo fatto la conoscenza di un pronto soccorso nuovo. Oltre che di diversi livelli di incazzatura, spavento, incredulità.
 
La Principessa proprio le sta mettendo sul piatto tutte per farci defecare sanguinando, se mi passate l'elegantissima espressione, del resto ho studiato nel miglior liceo classico della mia città natale, non posso non essere lessicalmente puntuale, vi pare?
 
L'altra sera, si è fatta venire una sincope. Ospedale di cittadina sconosciuta, l'imbarazzo di spiegare chi siamo e cosa ci facciamo lì, di dover attendere fuori, di nuovo puzza di vomito da lavare via dai capelli, come quella volta con A. (è un must, nella maternità? credevo succedesse solo con gli infanti dediti al rigurgito acrobatico, e invece...) e strade di campagna avanti e indietro , con tanto di nebbia, anabbagliante che non funziona, serbatoio in riserva spinta e cinghiale morto in mezzo alla carreggiata, fino alle 01,30. Minchia.
 
Il giorno dopo, misteriosamente, pur avendoci invocati al suo capezzale nel momento del bisogno, decide di non vederci. Io subodoro.
 
Poi ieri sera.
La voce completamente alterata dalla rabbia. Il pugno nel vetro della finestra, roba da tornare al pronto soccorso a gran velocità a farsi dare dei punti, ma lei no, lei se la cava con un graffio. Però la finestra è rotta, e non abbiamo ancora discusso con lei di quanto è CRETINO rischiare di svenarsi o recidersi un tendine picchiando un pugno nella finestra. Discorsi deliranti, simulazioni di malessere, i carabinieri con la voce grossa, atteggiamenti privi di qualsiasi senno, altri chilometri in collina nel cuore della notte per raggiungerla, e lei poi se la coniglia perché sa che se viene a casa da me l'aspetta una bella strigliata. L'Uomo, quando è tornato da Ca' di Lupo, dove era salito invano per prenderla, era FURIBONDO. Io ero così incazzata che fluttuavo placida nell'aere al di là della mia stessa incazzatura, insieme ad un certo numero di divinità irate della mitologia tibetana, quelle vestite con il gonnellino di teschi, avete presente?
 
 
 
Il punto non è che ha sedici anni. Il punto non è che i sedicenni facciano, pensino e dicano cazzate in modi che sembrano quasi surreali. Il punto non è che povera bambina ha avuto una vita tanto difficile. Il punto non è che la comunità non è il posto migliore del mondo per mantenere l'equilibrio mentale.  
 
Il punto che vorrei discutere qui con voi è la distanza. Perché se tua figlia fa una riga di cazzate come questa, ed è nella sua stanza bianca con il copriletto verde mela, la stanza di fianco alla tua, tu puoi fare le seguenti cose:
 
- parlarle
- gridarle
- abbracciarla
- tenerla ferma prima che si faccia male
- farle una tisana
- mollarle due ceffoni
- prenderle una mano
- mandarla a dormire senza cena
- darle cena a un'ora assurda, dopo che si è calmata
- rimboccarle le coperte
- darle le gocce calmanti
- controllare che dorma
- svegliarla
- parlarle
- gridarle
- abbracciarla
etc.
 
Se invece sei a casa, è notte e lei è a trentacinque chilometri di curve da te, insieme a
- alcuni ospiti della comunità che non c'entrano niente
- altri ospiti della comunità che invece hanno montato su la rivolta con lei
- educatori
- carabinieri
e tu non puoi fare altro che fartela passare al telefono (che lei peraltro tenta di riattaccarti in faccia - e sarà la prima e ultima volta che lo fa, poverina, bisogna passargliela, non ha mica ancora capito con chi ha a che fare, qua)
 
... allora capisci la distanza siderale che separa QUESTA esperienza di genitorialità dalle altre.
 
E ti senti proprio un po' male.
 
Stamattina molto presto mi sono svegliata da un brutto sogno e avevo l'Uomo addosso, accoccolato stretto dietro la mia schiena. Non saprei quando possa essere datata l'ultima volta che, nel sonno, ha cercato conforto nella mia presenza in questo modo. Mi sa che anche lui si sentiva proprio un po' male.