domenica 22 settembre 2013

Tigri


“E' malata, la mamma!”

Con questa perentoria affermazione (che ha fatto saltare sul divano il mio corpo febbricitante) la Principessa ha accolto l'Uomo in casa, l'altra sera.

Uomo che, peraltro, ieri è stato definito “papino”, il che penso gli abbia sciolto completamente via le ossa.

Ho il raffreddore. A parte le continue emicranie, di cui sono certa che sono un aspetto costante dell'essere genitore che le amiche mi avevano prudentemente taciuto, e le mestruazioni da campionato, che io attribuisco al resettarsi degli ormoni in modalità mamma, è la prima piccola magagna che mi viene da quando S. è entrata nella nostra vita.

Lei mi tiene d'occhio inquieta: “Guarisci...” mi prega.
“S., amore, è un raffreddore, eh, non una malattia mortale, almeno credo. Stai serena.”

Io so esattamente perchè ho preso questo virus che girava in classe e a scuola da qualche giorno.

Perchè posso permettermelo.

Questa settimana, da alcune telefonate della sera e da una chiacchierata in cucina, ho capito che S. è cresciuta, che adesso ha inserito una cosa nuova nel nostro rapporto: ha deciso di prendersi lei cura di noi, come noi ci prendiamo cura di lei.

E inoltre ho capito che mi fido di lei. In quanto femmina. E in quanto ragazzina sveglia. E in quanto mia figlia.

Mi sono sentita come se dopo ere di vagabondaggio nella neve e nel ghiaccio mi si fosse spalancata la porta di una baita riscaldata dal camino. Il tepore che mi si è diffuso nel midollo mi ha detto che questo miracolo supera di molto le mie aspettative relative alla maternità, all'affidamento, diciamo pure alla vita tout court.

Sissignore, io, la traumatizzata a vita da un rapporto problematico con la figura materna, posso avere una figlia femmina, ma soprattutto posso pensare che sono CONTENTA di avere una figlia femmina.

Perchè è femmina nel senso in cui lo intendo io, e perchè io e lei in quanto donne ci siamo riconosciute e abbiamo già fatto squadra. E questo, traumi o non traumi, è quello che ho imparato a fare da mia madre e dal resto della sua famiglia, dove il matriarcato è chiaramente l'unica vera legge e dove si allevano amazzoni da generazioni.

Non s'era ancora vista una piccola guerriera così, in questa famiglia. Ma è evidente che l'Uomo le combattenti se le sceglie con cura.

Non so se saprò mai spiegargli quanto sono sbalordita dal fatto che sia riuscito a portare in casa non solo una figlia, ma la figlia, forse la sola figlia, che, per pregi e difetti, si può praticamente considerare perfetta per come sono fatta io.
 
A questo proposito vorrei dire una cosa che molti amici stretti sanno già.
 
Sarà perché io sono una combattente, perché ho un carattere di merda o perchè sono del Capricorno, che ne so. Comunque, io ho capito che l'Uomo era giusto per me la prima volta che abbiamo litigato. Ci muovevamo su due semicerchi invisibili intorno al tavolo, al centro della cucina, come due tigri che si studiano per attaccarsi, e nessuno dei due cedeva. Una parte di me ha osservato questa scena come se la vedesse dall'esterno e ha annuito: "Sì, lui va bene." Capivo che tenevamo duro entrambi non per orgoglio o per principio, ma perchè eravamo convinti allo stesso modo di essere nel giusto, e ho saputo allora che nessuno dei due avrebbe mai fagocitato l'altro.
 
Ecco, diciamo che per ora c'è uno squilibrio di forze, S. è un tigrotto che strilla e sputacchia ma non coordina le unghiate, e io un animale adulto che può intimorirla soffiando e tenerla a terra con una zampa. Ma vedo la potenza muscolare in crescita sotto la morbida pelliccia della mia piccola belva, e sono certa che, un giorno, sarà capace di tenermi testa su qualcosa che per lei sarà veramente importante, che se avrò torto mi impedirà di prevaricare su di lei, e che la stimerò per questo.

Sono cinica? non lo so. Al di là delle metafore, io penso che siamo animali, nel profondo. Ognuno di noi cerca di proteggere la specie, imparando a muoversi nella giungla, scegliendosi un compagno adatto alla lotta, e sa di aver raggiunto lo scopo quando uno dei suoi piccoli riesce a dimostrarsi più forte di lui.

Il DNA della coppia, tra l'altro, in natura è importante, ma non quanto la sopravvivenza del branco. Da cui la bellezza di alcuni accostamenti casuali. Come me e S. in piscina insieme.


 
 

 
 
 

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