domenica 26 gennaio 2014

Molto bene


Mi sono sbattuta come il latte del cocco per vederla, per poterla sentire, per parlare con lei, per parlare di lei, per parlare del suo futuro. Sono riuscita a riabbracciarla.



Ho parlato con la responsabile della comunità e dettato alcune regole io, e quando ha ripreso la solita solfa del “ma comunque, Castagna, stai serena” le ho ringhiato “guarda, sono tranquillissima, ma non sono tanto sorridente, no, e mi scuserai, ma siamo in un bel ginepraio.”



Ho fatto quel che stava in mio potere e l'ho fatto fino in fondo.



Ora, supponiamo per un attimo che io faccia tutto ciò, e dopo 48 ore scarse mi renda conto che non ci sarà per il momento, che non ci sarà forse mai, un secondo appuntamento per stare un po' insieme.

mercoledì 22 gennaio 2014

Check list

Telefonate a destra e a manca per chiedere di contattare e vedere la Princi XXXXXXXXXXXXXXX

Messaggi alla Princi per sondare il terreno XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Ricerca info sull'iscrizione della Princi per l'anno prossimo XXXXXXXXX

Tentativi di parlare con l'Uomo della Princi e di noi come famiglia della Princi
XXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Tentativi riusciti di parlare con l'Uomo della Princi e di noi come famiglia della Princi X X

Panciate di nervoso con l'educatrice del Tribunale dei Minori X X

Panciate di nervoso con la responsabile della comunità XXXX

Panciate di nervoso con l'assistente sociale NESSUNA (ella non comunica se non attraverso l'educatrice)

Colloqui estenuanti con la psicologa del TM X X (5 h totali)

Colloqui con la mia psicologa NESSUNO (gnaa facevo)

Discorsi seri sul futuro di questo affidamento con amici, conoscenti e parenti X X X X X X X

Discorsi seri sul futuro di questo affidamento da me non richiesti X X

Lutto e senso di solitudine 65%
Scazzo 27,5 %
Stanchezza 2%
Autoironia e sdrammatizzazione 3,5%
Speranza di cavare qualcosa di buono da questo periodo di merda 2%




Molto pieno, incredibilmente vuoto

Ricostruzione, per quanto possibile minuziosa, degli eventi intercorsi nelle ultime settimane, dal punto di vista di Castagna

Avvertenza: qui dentro ci sono i fatti, non i sentimenti. L’evoluzione avvenuta in me, nell’Uomo e nella Princi in queste settimane non è spiegabile in questa sede. E comunque è ancora in corso di svolgimento.

Dopo una giornata infinita e dolorosa, la sera dell’otto gennaio sono finalmente nel mio pied-à-terre di Genova, sola, e ho appena fatto un certo numero di telefonate personali, che mi hanno dato un minimo di energia, nonostante tutto.

Mi faccio forza e chiamo anche la Princi, che non sento da settimane salvo la telefonata tristissima di Natale e un sms di Capodanno (cui lei non ha risposto). Siamo autorizzati a sentirla, e lei a chiamarci, già da cinque giorni, ma non ce la siamo sentita, nessuno di noi. Le ho mandato forse uno o due messaggi, piuttosto cupi a dire il vero, facendomi un brutto autogol perché lei non ha mai risposto e io ho passato la notte a controllare il telefono.

Comunque, non ci sono santi, mio padre è morto e io glielo devo dire, di persona. Telefono. Lei lascia squillare senza rispondere. Ovviamente dopo non richiama.

Il giorno dopo arriva un sms dal Bimbominkia. Ti faccio le condoglianze per tuo papà, ti abbraccio, cuoricino. Io quasi svengo, per due ottimi motivi: il Bimbominkia sa che a casa nostra non lo vediamo niente bene, ma scrive lo stesso. E se lo sa lui, che mio padre è mancato, vuol dire che gliel’ha detto lei. Ergo, lei l’ha saputo da Santa Maria degli Orfani e non mi ha scritto neanche crepa.

Ringrazio di cuore il Bimbominkia, mentre il mio cervello elabora queste informazioni. Al che, il temerario quindicenne attacca a messaggiarmi. Che lei ci vuole bene e le manchiamo tanto ma è arrabbiata e confusa, che lei non ce la fa a fare il primo passo perché è orgogliosa, che la comunità non le fa bene e che lui vorrebbe tanto che lei stesse con noi. E non dirle che ti ho scritto per favore eh.

Risultato. Io chiamo il Bimbominkia e stiamo 40 minuti al telefono. A ricostruire che cazzo hanno combinato la notte del 16 dicembre, che passa per la testa alla Princi, che succede a noi che da “genitori affidatari” (nomignolo di fantasia, visto che i documenti, in Italia, si fanno sempre con calma) all’improvviso siamo diventati fin troppo realisticamente il signore e la signora Nessuno, e dobbiamo obbedire anche all’usciere dell’ASL e al passacarte del tribunale per ciò che riguarda nostra figlia.

Finiamo per salutarci con rispetto e gratitudine, e io, mettendo giù, resto sola con il pensiero che persino l’aborrito Bimbominkia ha più palle della Princi, che è arrabbiata (lei) e che mi lascia senza neanche un sms quando io perdo papà… alla faccia dell’arrabbiato…

Ma appena chiudo la telefonata, sotto trovo un messaggio. E’ la Princi che mi fa le condoglianze e mi dice che mi è vicina e mi vuole bene. Scrive da un telefono non suo. Io guardo l’ora, sta per entrare a scuola perché ha il pomeriggio, e le scrivo grazie, ti chiamo alla fine della scuola dopo il rosario di mio padre.

Cosa che poi faccio, corroborata da un non sono a scuola perché non sto bene (prova finale che il Bimbominkia mi ha davvero contattato di testa sua, e non era con lei che lo teleguidava per farci sapere le cose per interposta persona), chiama quando vuoi. Allora sotto gli alberi del parcheggio della casa di riposo la chiamo, rompiamo finalmente il ghiaccio, le racconto delle ultime brutte giornate, della De che è stata male, lei mi racconta dello stage, della comunità, della sua salute, chiude con ti voglio bene.

Passa una settimana e comunque lei ai messaggi, a questo punto quotidiani, che le mando, non risponde più. Finchè io le scrivo che dobbiamo sbloccare la cosa, che non possiamo rimanere così. Silenzio. Allora arrivo a scriverle: chiederò agli assistenti sociali di vederti. Ma tu vuoi vedere me?

Risposta: certo che voglio vederti.

Seguono due o tre giorni in cui:

- l’assistente sociale mi nega il permesso di vederla finchè non ho parlato con la psicologa

- mio marito mi dice che lui non vuole essere coinvolto

- la Princi prende coraggio e prova lei stessa a fissare un appuntamento

- io evito consapevolmente di parlare dell’Uomo e di parlare al plurale

- io evito consapevolmente di chiamare Santa Maria degli Orfani

- io cammino a un metro e mezzo da terra al solo pensiero di vederla

- io mi torturo perché temo che l’Uomo non voglia più saperne di lei e che io resti come già molte altre volte presa in mezzo a decisioni altrui sulla mia possibilità di avere dei figli

- io cerco di mantenere la calma, di non pressare l’Uomo che è veramente provato, e però di difendere i miei spazi, dicendo che se necessario trasformeremo il percorso da più o meno adottivo a solo affidatario e anche al singolare, ma che io non voglio lasciar perdere, almeno per parte mia.

Tutto questo, e MOLTO altro, viene raccontato da me alla psicologa del tribunale dei minori che mi tiene DUE ORE E MEZZO giovedì pomeriggio e, sostanzialmente, mi fa sentire capita, confermata nelle mie idee e scelte, e appoggiata. Mi si dice anche qualcosina del lavoro fatto nel frattempo con la Princi, ed è abbastanza rassicurante.

Poi ci torniamo insieme io e l’Uomo, il venerdì e sono ALTRE due ore e mezzo di colloquio, in cui si nota che per destrutturare le mie difese ci vogliono 30 minuti, per aprire una breccia nella maschera di sicura freddezza dell’Uomo ce ne vogliono 130. Praticamente solo nell’ultimissima parte del colloquio assisto affascinata al pieno trionfo della psicologa, che ha impacchettato l’Uomo in una ragnatela con le sue stesse parole e ora, con tutta serenità, gli pratica un’incisione da cui inizia a uscire la verità.

L’Uomo esce dal colloquio destrutturato alla grande, ai punti che non riesce neanche a formulare una frase intera su dove ha parcheggiato la macchina. Ma dai suoi occhi si vede che sta meglio.

Alla sera mi regalo una telefonata con la Princi. E finalmente lei trova il coraggio di mandare un messaggio affettuoso all’Uomo, come stai mi manchi ti vorrei abbracciare, e l’Uomo, udite udite, le risponde la verità, sono tanto stanco è tutto difficile mi fido della psicologa.

Mettiamola così. E’ un ginepraio di casini, ma almeno la psicologa c’è capitata davvero brava.

E forse anche noi siamo bravi, tutti e tre, forse avremo prima o poi un piccolo riconoscimento per essere sopravvissuti, tutti e tre, a questo mese.

venerdì 10 gennaio 2014

Straniamenti e chiarezze

Il signore pallido, con l’abito che gli sta grande, compostamente sdraiato nella bara di legno chiaro, NON E’ mio padre.

Mio padre ha le mani grandi e calde, ha gli occhi grigioverdi, lo sguardo intelligente. Mio padre, anche da invalido, ha un’espressione inconfondibile sul viso, quando pensa, e in questi giorni, in cui nemmeno parlava, io la leggevo. Mio padre è un uomo alto, elegante, che ama viaggiare per mare, sciare, studiare la storia. Mio padre è molto bello e molto vivo.

Quel signore lì che stanno caricando sul carro funebre NON E’ mio padre.

E la ragazzina che avrei tanto voluto vicino a me oggi, mentre guardavo gli uomini delle pompe funebri che maneggiavano il feretro, E’ mia figlia.

La Princi ha la pelle diversa dalla mia, ha un’età anagrafica e mentale di sedici anni e un’età emotiva di cinque, non legge, non studia, pensa in un’altra lingua. La Princi non è ancora affezionata a noi come genitori, la Princi non è nostra figlia sulla carta, non lo è nel DNA, non lo è nemmeno nelle abitudini o nell’educazione.

Ma io le ho messo in ordine la stanza e preparato gli esercizi di matematica, io le ho impilato con cura i regali di Natale che i parenti non hanno potuto darle, io oggi ho pranzato con la mia migliore amica e parlato continuamente di lei, perché io SONO sua madre.

La Princi è un problema con le gambe, la Princi potrebbe mettere in crisi tutta la nostra vita, la Princi non sta capendo gli errori che ha fatto, noi non abbiamo gli strumenti per gestire la Princi e lei non ha i mezzi per capire su che pianeta è finita. La Princi viene da un altro mondo, la Princi non è come ce l’eravamo immaginata, la Princi è pericolosa, e siamo in tempo a tirarci indietro.

Ma io queste settimane ogni santo giorno ho vissuto come se dovesse per forza tornare, come se fosse solo una pausa, come se non ci fosse altro possibile sbocco che riprendersela. Ogni giorno ho cesellato nel mio immaginario la cena che le darei e le lenzuola che le metterei e quando prenderei appuntamento con l’oculista e cosa le farei fare al pomeriggio e come mi comporterei con lei ora che so quali sono i problemi.

Ogni giorno dal 17 dicembre mi sono sentita come se respirassi con un polmone solo, come se mi mancasse un braccio. Perché io SONO sua madre e adesso, per quanto possa capire che no, non è detto che continueremo come prima, che sì, sono cambiate le carte in tavola, che no, non può essere una scelta di pancia ma dobbiamo seriamente chiederci come e se possiamo farla, questa cosa, io voglio quella ragazzina accoccolata nel letto della cameretta e la sua pelle fresca contro la mia quando ci abbracciamo e discutere con lei, stare in macchina con lei, truccarmi con lei, mangiare con lei, essere enormemente, stupendamente, disgraziatamente felice di averla lì, anche quando è un incubo.

Io però in tutto questo ho chiara una cosa sola. Mio padre non c'è più, mia figlia non c'è (più/ancora/momentaneamente), quello è/non è mio padre, lei è/non è nostra figlia, va bene: ma quell'uomo stanco e bellissimo che in questi giorni mi ha cullato come una bimba quando piangevo, quell'uomo che ogni volta che entra nella stanza mi fa venire voglia di spogliarlo integralmente e baciarlo tutto, quell'uomo che sta lottando con me e per me in tutte queste battaglie, E', senza la minima ombra di dubbio, straniamento o fraintendimento, mio marito.

E mentre questo blog è solo mio, e le sensazioni che ci scrivo sono solo mie, la decisione di essere genitori è una cosa che dobbiamo condividere io e lui, a qualsiasi prezzo, perchè solo insieme possiamo reggere la fatica e il rischio di continuare con la Princi, o il dolore e la delusione di smettere.

Non c'è altro da dire per adesso.




 

lunedì 6 gennaio 2014

Bel bilancio, non c'è che dire


E venne l'ultimo giorno delle più disastrate vacanze di Natale mai viste.

Bilancio. Siamo entrati in queste ferie con: la Princi riportata di peso in comunità dopo il suo grave colpo di testa, mio padre in fin di vita, il cane con un occhio glauco e gonfio. Usciamo da queste vacanze con: la Princi in comunità, mio padre in fin di vita, il cane senza un occhio.

Il periodo intermedio si divide in due. Prima del 2 gennaio, e dopo il 2 gennaio.

Inizialmente c'è stata solo la sensazione, fin troppo ovvia, che un uragano di sfiga in buona parte assolutamente gratuito si fosse appena abbattuto sulle nostre spiagge, e che fosse impossibile decidere le priorità da cui ripartire, in mancanza di un'unità di crisi funzionante. Questo è stato vero soprattutto per le prime giornate, in cui l'Uomo doveva ancora occuparsi di Hastiwood e io ero appena stata paracadutata di nuovo nell'incubo dell'andare e venire dal letto di mio padre al resto della mia vita.

Poi, almeno, io e l'Uomo eravamo insieme. E allora, prima del 2 gennaio, abbiamo fatto del nostro meglio per essere noi stessi la nostra unità di crisi, assumendo il mio metodo: eliminare più cose possibile, ridursi all'osso, curare la sopravvivenza da un'ora all'altra.

Devo dire che, dopo anni di manrovesci della sorte, soprattutto per quanto riguarda la salute di mio padre, sono abbastanza capace di cogliere i segnali di cedimento e prevenirlo, o tamponarlo se è inevitabile. Da cui le mie asserzioni, come: “Io non posso portare il cane a farsi operare. Perchè devono TOGLIERLE UN OCCHIO e io sono sicura che questa cosa per me sarà il colpo di grazia, con quello che già vedo ogni giorno in casa di riposo. Io non posso occuparmi di lei dopo l'intervento, perchè adesso per come sono messa già non mangio e non dormo, non posso anche svenire ogni volta che deve fare un'iniezione. Io NON VOGLIO essere presente quando questa cosa succede.”

Non penso che per l'Uomo sia stata una passeggiata, ma alla fin fine è andata proprio così: io sono rimasta a Genova a reggere mia madre che reggeva mio padre, lui è andato a Asti e ha retto intervento e convalescenza del cane. Io non ho sbroccato, lui nemmeno. Il cane è senza un occhio ma sta bene, e l'unica cosa che non ha funzionato è stata la decisione di lasciarla dormire sul divano. Butteremo via il divano, perchè, altro che di pipì di cane, il cuscino su cui ha dormito odora di pipì di cane imbottito di anestetico. Ma tanto dovevamo cambiarlo, e all'Ikea ci sono i saldi.

Il 2 gennaio sono successe le seguenti cose: mio padre è quasi soffocato, il cane è stato operato e dalla comunità ci hanno fatto sapere che possiamo riprendere a sentire e vedere la Princi.

Così c'è stato il dopo: mio padre ha avuto una strana e terribile ripresa, direi la terza o quarta da quando siamo entrati in questa situazione.

Mia madre, nel vedere la crisi di soffocamento e poi la ripresa, ha sbarellato, e come darle torto.

Il cane ha dormito due giorni, sorvegliato a vista dall'Uomo che cercava malamente di rimediare al danno sul divano.

Io ho vissuto 24 ore di intensa e profonda speranza, data dalla comunicazione che potevamo sentire la Princi. Salvo accorgermi che, tutto sommato, avrei di gran lunga preferito che chiamasse lei. E che, telefonandole io, non avrei saputo cosa dire di diverso da “come stai?/c'è qualcosa che vuoi dirmi?” che sono le mie battute tipo di inizio telefonata da quando è successo tutto il casino. E finchè lei risponde di no alla seconda domanda, per me il discorso può solo arenarsi.

Così ho posticipato, prima motivazione: la sera in cui me l'hanno detto venivo dalla giornata più pesante di tutte. La sera dopo ero sola e invece volevo prima parlarne con l'Uomo. E infine, la terza e quarta sera ero con l'Uomo, ma nessuno dei due se l'è sentita. Oggi ho finalmente chiamato Santa Maria degli Orfani. Come preludio a chiamare la Princi. Credo.

Non è facile prendere la decisione di chiamarla. Non è facile perchè non siamo sicuri di cosa può capire lei, da questa iniziativa. Non è facile perchè siamo in due e nessuno dei due vuol compromettere l'altro facendo o dicendo una cosa nella quale l'altro non si rispecchia. Non è facile perchè, essenzialmente, siamo davanti ad un bivio: dichiariamo fallimento e torniamo alla nostra vita di prima, o ci facciamo coraggio e riproviamo a fondare una famiglia con lei. E non siamo sicuri di cosa ce la sentiremo davvero di scegliere.

Domani però si ricomincia, si ricomincia tutto: la scuola, i contatti con i servizi sociali, gli affari, gli impegni. Il cane ha finito il ciclo di iniezioni, mio padre è sempre lì, a volte più di là che di qua, a volte più di qua che di là, mia madre sembra sia tornata in trincea, ed è giorno feriale. Non ci sarà modo di rimandare ulteriormente molte cose che ho detto a tutti di fare senza di me in questi venti giorni. E sarà necessario anche andare avanti con progetti a lungo termine, pur sapendo che da una settimana all'altra è praticamente impossibile fare previsioni, perchè prima o poi verrà sconvolto tutto, da un altro crollo di mio padre, da un altro crollo di mia madre, da una decisione dei servizi sociali, o da una perdita di tempo dei servizi sociali, da una frase della psicologa o della Princi o mia o dell'Uomo o della mia preside che, lo sappiamo tutti, spera nemmeno troppo segretamente che io torni dalle ferie orfana di padre, così non deve darmi altri permessi familiari.

Alla fin fine mi sembra di poter solo andare avanti ora per ora.

Con le poche e sconfortanti informazioni che ho da Santa Maria degli Orfani a proposito della Princi, di come sta, di cosa fa, di cosa dice, francamente, non so se riportare la sua presenza nelle nostre vite adesso sia una buona cosa, per noi e per lei. E questo, purtroppo, si deve decidere, senza viverselo ora per ora, ma scegliendo se rischiare o no.