mercoledì 3 luglio 2013

Che casino

   Il primo febbraio 2011 scrivevo:
 
Colloquio terminato ore 16.

Un casino.

Intanto, non sapevo che ci avrebbero caldamente consigliato la doppia strategia adozione nazionale + internazionale.
Senza peraltro poterci consigliare un'associazione seria che si occupi di adozioni internazionali, perchè, testuali parole, "è un libero mercato". Orrore.

Poi non avevo chiare le tempistiche di quando finalmente ti danno un bambino nell'adozione nazionale: cioè, non il periodo di attesa dell'abbinamento minore / famiglia, ma il periodo di affidamento a rischio giuridico e quello di affidamento preadottivo. Traducendo, un totale complessivo di due anni e mezzo nei quali un parente fino al quarto grado del bambino può vincere un ricorso e RIPRENDERSELO. Cioè tu magari sei stato con un bambino dai suoi tre ai suoi cinque anni e TE LO LEVANO.
Se mi succedesse una cosa del genere sarebbe la volta che mi imbottisco di barbiturici e ci bevo dietro una confezione di WC Net disincrostante. Almeno, nell'affido lo sai prima, che il bambino non resterà per sempre.

Ma SOPRATTUTTO, non credevo che l'Uomo si sarebbe impallato con l'adozione internazionale.
Proprio no.

Così siamo tornati a casa e invece di leggerci le specifiche della richiesta di inclusione nelle liste nazionali ci siam messi a svarionare sul colore la lingua la provenienza e la distanza di tutti i bambini del pianeta, compresi quelli di Paesi nei quali io mi rifiuterei categoricamente di andare perchè lontanissimi, pericolosi o sospetti di svendere figli altrui, a cifre vergognose e magari falsificando gli esami del sangue.
Cioè, se anche uno avesse il coraggio, che non avremmo, sia ben chiaro, di dire prendo e accudisco un orfano sieropositivo, magari lo vorrebbe sapere prima, non scoprirlo in Italia a cose fatte.

A me tutto 'sto "libero mercato" dei bambini spaventa, e più si è lontani da qui e in preda ad amministrazioni sconosciute parlanti lingue impossibili, più mi pare pericoloso.

Poi, per carità, la bimba tibetana, i due fratellini polacchi, il bimbetto di Capo Verde che parla portoghese, la neonata congolese, il treenne peruviano, tutto quello che si vuole, sono pensieri magnifici. Anche portar via un bimbo dalla Russia di Putin, o due fratellini dal Kurdistan o dai territori palestinesi.
Pensandoci, anzi, la questione palestinese mi sta a cuore da anni e sarei ben contenta se potessi farci qualcosa nel mio piccolo.

Ma io sono molto ma molto ma molto più realista del re quando si tratta di viaggiare: sono troppe le cose che non me la sento di fare o di vedere. In India, per dire, ammesso che riuscissi mai ad arrivarci, avrei uno choc culturale irrimediabile: sono quei posti dove uno come me potrebbe vergognarsi di andar via con un singolo bambino e di portarselo al mare a Alassio o a sciare a Bardonecchia, quando è evidente che sarebbe meglio fermarsi lì, farsi mandare la propria rendita dalla banca italiana e aprire una scuola o un ambulatorio.

E l'Uomo, che invece sarebbe, a sentir lui, in giro per il mondo tutto l'anno, in realtà ha una visione fin troppo romantica del mondo, della propria reale capacità di adattamento a qualcosa che non sia un centro benessere a quattro stelle, di sua moglie che gira da un aeroporto all'altro (ahahahahah...) e non muore di inedia dopo un mese di digiuno di fronte alla cucina vietnamita o messicana, e anche del portare a casa un bambino di diversa origine etnica: per esempio, lui non valuta che potremmo giocarci il rischio che la Suocera Aggiunta chiamasse "quella deficiente" la colf filippina o spiattellasse tutto quel che pensa dei sudamericani e dei romeni. Cosa che normalmente fa.

Detto questo, i bambini adottabili in Italia spesso sono di etnia e ceppo razziale diverso dal nostro, e a noi va benone: se la Suocera Aggiunta o altre persone che conosco devono fare delle simpatiche generalizzazioni, si accomodino pure e troveranno pane per i loro denti.

Ma porca vacca mi pare troppo rischioso e complicato tutto l'iter internazionale, oltre al fatto che non mi ci vedo proprio a scarpinare per la Bolivia, e anche i miei amati altopiani tibetani preferisco di gran lunga vederli da qua in fotografia; senza contare che, dei due, il più a rischio di mal di montagna è senza dubbio l'Uomo, creatura per eccellenza legata per la sua sopravvivenza biologica agli 0 metri sul livello del mare.

Poi, seriamente: se devo prendere in considerazione un Paese straniero mi piacerebbe fosse un Paese dove ogni tanto posso tornare con il bambino, di cui possiamo imparare la storia, la lingua e qualche usanza, con cui possiamo mantenere un contatto, e non credo che lo Sri Lanka o la Georgia siano i più adatti in tal senso. Allora meglio l'Albania o la Romania, dove potremmo fare qualche viaggio: abbiamo tanti exalunni le cui famiglie ci aprirebbero casa se passassimo di là. Io so anche fare la baklavà, perchè ce lo ha insegnato a scuola un'alunna di due anni fa.

Mah.
Io...

Boh.

Nel complesso, sono preoccupata e nervosa.
Lato veramente positivo, il corso base di sensibilizzazione e informazione per l'adozione si svolge ogni due settimane in una città diversa del Piemonte, più o meno, e l'Uomo ha già telefonato per prenotarci per il 12 febbraio. Si vede che questa cosa lo prende sul serio.

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