venerdì 26 luglio 2013

Buoni motivi per toglierti da lì


Cara S.,

Qui è Mamma Castagna che scrive. Scrive per dire che adesso si sbatterà il più possibile per toglierti, al più presto e per il maggior numero possibile di giorni a settimana, dalla comunità.

Per svariati motivi.

Per esempio, che da oggi è arrivato il Chiquito. Fratello minore del Chico, con il quale tu hai avuto una difficile e tormentata storia quest’inverno. Sapendo che il Chico è uno che si procura, e procura agli altri, danni fisici non da poco, non so come sia il Chiquito, ma di certo dal panico con cui hai preso il suo arrivo non mi aspetto molto di buono: tu sei troppo agitata, e anche tendente al melodramma con i baldi giovani dai molti problemi che transitano per la Casa di Pony.

A proposito, mi si dice che tra qualche giorno torna anche A. Il quale non troverà più né la fidanzatina né il migliore amico, essendo entrambi definitivamente ritornati in famiglia.
E rientra in anticipo perché il suo progetto di passare l’estate con la madre, che già contrastava di brutto con il progetto dei servizi sociali di fargli passare l’estate con il padre, è andato miseramente ad infrangersi. E, come volevasi dimostrare, A. torna al mittente e, al suo rientro, non trova la fidanzata, non trova l’amico, non trova Santa Maria degli Orfani che è in ferie, in compenso trova che il suo amato prof di lettere e la moglie, che sarei io, non si occupano più di lui, ma di S.

In comunità, alla sola idea di gestire contemporaneamente A. e il piccolo di famiglia, che è uno veramente assurdo, erano già passati a rivedere i turni. Chissà ora che ad A. e al piccolo tifone si associa il Chiquito.

Tu intanto fai cose che non mi piacciono. Oggi eri in giro con la bella e disinibita Vassilissa e mi hai confessato di esserti fatta passare una canna, e no, alla prova dei fatti no, scopriamo che non sono tollerante con le canne, neanche un po’. Mi ripeto che è peggio una sbronza seria che due tiri di fumo, ma rimane il fatto che il fumo è illegale e che non va bene che ci sia gente che te ne passa, nella tua cerchia di amici. E chi sono costoro, poi. Fammeli un po’ conoscere, questi. Che li tengo fermi mentre l’Uomo gli rovina i denti a sassate.

Inoltre. Continui a parlare con ansia somma del prossimo incontro con le assistenti sociali, che peraltro la psicologa ti ha fissato per remare a favore del nostro progetto. Continui a dire che sei tesa, che hai paura e che dopo starai una merda e io, che devo ancora partire per la montagna, sono già lì che penso a quando tornare giù per evitarti la giornata no dopo aver incontrato le SS.

Poi. Tu vuoi vederci, per stare con noi, ma anche per andare in piscina e al mare e in montagna e conoscere Sanguedelmiosangue. Noi vogliamo vederti per staccarti un ceffone per la canna passare del tempo con te, verificare che tu non ti metta nei casini con alcun compagno di sventure troppo sciroccato, sondare la possibilità (o la necessità?) di occuparci anche di A., tenerti serena mentre cerchiamo di superare queste settimane infinite che pare ci separino dalla definizione di una qualche scelta del tribunale, cercare di darti una stabilità tale che tu possa anche studiare le due materie che avevi a filo di sufficienza, estorcerti i nomi dei baby spacciatori che ti passano il fumo e andare a scambiargli di posto le rotule con una mazza da hockey provare a stabilire qualche regola sulle tue uscite e frequentazioni, e, nel mio caso, smettere di stare chiusa in casa a persiane abbassate a flagellarmi e passare all’azione.


 

Loop time

Momento di loop.

Quelle giornate in cui i pensieri oscillano tra "No ma io non sono adatta, non ce la faccio" e "Beh dai, non sarà sempre così". Che, a quanto mi pare di capire, sono una costante nella vita dei genitori biologici.

Poi se sei un genitore non biologico le seghe mentali sono un po’ diverse.

E se non sei ancora un genitore non biologico, perché in fondo il tribunale non ha mica deciso niente? Per carità.

E se sei un non-ancora-genitore-non-biologico di adolescente? Ah ah, voglio ridere.

Poi noi non possiamo fare delle cose NORMALI, previste dalla legge e dal buon senso, etc etc. Per cui siamo non-ancora-genitori-non-biologici-di-DUE-adolescenti: di cui uno quasi sicuramente non lo rivedremo per mesi, salvo telefonata dei servizi sociali che ci chiederanno, da un giorno all’altro, di riprendercelo in carico quando sarà di nuovo nelle grane e avrà ricominciato ad avere comportamenti a rischio.

E la cosa malsanissima è che io me lo riprenderei eccome. L’Uomo un po’ meno. Io subito. Da cui orrendi sensi di colpa nei confronti di S. Che peraltro è il nostro tesoro, ed è una garanzia di poter fare delle cose quasi normali, per esempio dormire di notte anche se lei è nell’altra stanza, spostare un appuntamento o modificare un programma, mentre con A. era tutto uno stare all’erta, dormire con un occhio solo e sentirsi costantemente rimescolare gli organi interni. Poi io sono una masochista nata e a me tutto quel febbricitare piaceva, l’Uomo che è sano invece era dell’idea che fosse troppo gravoso.

Comunque, niente paura: anche con la piccola deliziosa principessa dalla pelle scura esistono giornate in cui è tutto troppo gravoso. Tipo oggi. Caldo, ciclo, niente marito, due animali su tre che stanno male (e la terza è una cicciona che non si lava), troppi chilometri già fatti e troppi ancora da fare, in questo mese in cui la domanda principale è "da dove comincio?". Cioè, se non fosse che a Scuolina Rosa ci saranno trentanove gradi, oggi avrei di gran lunga preferito scendere dal letto e andare a lavorare, perché almeno per metà della giornata avrei saputo l’ordine delle mie priorità. Così invece non so se mi sento in difetto per non avere ancora prelevato S. in comunità, per non aver ancora portato cane e gatto dal veterinario, per non aver evaso la solita pila gigantesca di posta e documenti da vedere, o per non aver cucinato niente di commestibile per pranzo.

Quindi. Oggi non funziono, oggi non c’è niente che va bene, oggi è una giornata di merda. E per fare solo un esempio di come ci si riduce in certi giorni, stamattina mentre guidavo, semistordita dal caldo, in città, mi facevo la seguente domanda: ma noi SIAMO genitori o FACCIAMO i genitori? E chiosavo: cioè, ma è peggio FARE i genitori quando non lo si E’ o ESSERE genitori quando non lo si FA? Poi ho capito che prendevo una bruttissima piega, della serie "MA CE SEI O CE FAI?" e l’istinto di sopravvivenza mi ha suggerito le seguenti strategie:

1) ma usa un po’ di sana autoironia, santiddio

e

2) prendi un altro caffè, buono, del bar, macchiato, con tanto zucchero di canna, e vedi di piantarla.

Messe in pratica entrambe.

In effetti va meglio. Mi sento sempre una merda inadeguata, mi manca sempre A. come se mi avessero strappato un rene senza anestesia, mi gira ancora la testa per il caldo, ma adesso credo che ce la farò a organizzare qualcosa con S. almeno per il pomeriggio, o, se vogliamo essere un po’ più realistici, per la sera. Il cane e il gatto andranno dal veterinario da soli, forse. O ci andranno domani mattina.

Sopravviveremo anche stavolta all’estate. Credo.

sabato 20 luglio 2013

Teenage horror stories


 

S. "Poi posso farmi un piercing? Santa Maria degli Orfanelli m'ha detto di chiedere il vostro parere. Volevo farmi il brillantino al naso..."

C. "Ecco... senti un attimo, Uomo?"

U. (dall' altra stanza) "Sto sentendo."

S. "Posso?"

U. (dall' altra stanza) "NO"

S. "Ma dai è bellissimo... Per favore?

C. "Guarda, io non sono talebana su queste cose. Ma se ti fai un buco in faccia l'Uomo ti romperà i coglioni tutti i santi giorni più volte al giorno, che gli fa schifo che ti sta malissimo etc etc."

S. (all'Uomo): "Davvero non vuoi?"

U. (dall' altra stanza) (silenzio)

S. "Davvero non posso? Eh? Dai!"

U. (dall' altra stanza) (silenzio)

S. "Uomo? Non vuoi che mi faccio il brillantino?"

U. (dall' altra stanza) "Uhm... fammici pensare? NO"

S. "Ma solo il brillantino... poi a diciotto anni mi faccio l'anello al labbro"

C. "NO L'ANELLO AL LABBRO NO"

U. (dall' altra stanza) "Uahahahah. NON. CI. PENSARE. NEMMENO"

S. "Maddaaaaaiiiii"

C. "Allora, il brillantino è bello, sono d'accordo. Ma il labbro sinceramente fa senso anche a me."

S. "E l'ombelico?"

U. (dall' altra stanza) "NO-OOO, ho detto NO"

C. "A me tra tante cose che una donna può farsi l'ombelico sembra il più bello, anche perchè quando non vuoi non lo mostri, non è un buco in faccia, ma sentimi bene S., se ti fai fare una cosa del genere andiamo in un negozio specializzato, e prima che qualcuno ti metta le mani addosso io ESIGO di vedere tutti i permessi sanitari e i controlli dell'igiene firmati..."

U. (dall' altra stanza) "Ho. Detto. Di. NO"

C. "...e comunque, l'Uomo non è d'accordo"

S. "Ma uffffffa."

(e vi risparmio la parte sui tatuaggi)

 

Più tardi nel pomeriggio (Uomo assente per commissioni):

S. "...poi a me un'altra trasmissione che piace tantissimo è il Grande Fratello, io da grande voglio assolutamente andarci!"

C. (con voce metallica) "S."

S. "Cosa c'è?"

C. "Guarda. No. Senti. Dunque. Fatti tutti i buchi in faccia che vuoi. Ma al Grande Fratello, tu, se vivi in questa casa, non ci andrai."

mercoledì 17 luglio 2013

Autorizzati. E miracolati

Va beh, io le chiamo SS, ma la verità è che con gli assistenti sociali in genere io vado, sono sempre andata, d’accordo. Solitamente li incontro in ambito professionale e trovo quasi ogni volta che siano gente che, come tanti insegnanti, si spende anima e corpo per tirar fuori dai guai bambini e ragazzi.

Gli psicologi, se si eccettua la mia magnifica Fata Bionda, sono invece già tutta un’altra cosa. Cioè, varie volte, di loro, ho pensato che nel loro mestiere fossero competenti e sicuri, ma umanamente, nei normali rapporti con le persone, fossero un disastro. Nervosi, aggressivi, supponenti, ansiosi come il peggiore dei loro pazienti. Può darsi che molti di loro abbiano studiato psicologia per curare se stessi (e sia chiaro: anche io mi sono iscritta a Psicologia, dopo Lettere, e SICURAMENTE la motivazione nel mio caso si avvicinava molto a quella, poi però per fortuna ho studiato con passione solo gli esami di Antropologia e di Biologia, mi sono tenuta le mie paturnie e ho lasciato perdere).

Sono i giudici che invece vorrei vedere spazzati via dalla faccia della terra, quando si tratta di adozione. Ma magari siamo solo stati sfortunati.

Tutto questo per dire che oggi abbiamo avuto la riprova che tra il pianeta Adozione e il satellite Affido c’è una sostanziale differenza.

Abbiamo chiesto se potevano autorizzarci a portare S. fuori per qualche giorno, con pernottamenti fuori dalla comunità, e detto e ribadito che, se non ci avessero autorizzato, ci saremmo arrangiati lo stesso per vederla in giornata, come abbiamo fatto finora. E’ partita la psicologa, è partita la responsabile, sono partite le assistenti sociali, e in esattamente SEI GIORNI il permesso scritto è stato accordato.

Il ragionamento sotteso è sicuramente stato, perché la responsabile me lo ha anche riferito: S. sta bene, insieme sono felici, devono conoscersi meglio, e poi non è giusto che ‘sti due poveri cristi non possano farsi un po’ di vacanza in montagna o al mare per star dietro a lei: in fondo, sono due persone disponibili e responsabili, è un peccato fargli passare l’estate in città.

A parte il fatto che siamo felici e che S. mi ha polverizzato un timpano con un urlo di gioia al telefono appena gliel’ho riferito, mi è venuto in mente che questo atteggiamento (sono due brave persone che si danno da fare, non penalizziamoli) è l’ESATTO CONTRARIO di quel che abbiamo vissuto con il team adozioni.

Dove invece la nostra richiesta di portare via con noi S. per qualche giorno, che serve soprattutto a stare tutti insieme in una situazione quanto più possibile normale e vicina a una famiglia vera, oltre che a levare tanto noi che lei dal caldo, sarebbe stata presa con sguardo schifato e biasimo, perché, e questo non lo dico assolutamente solo io, quando chiedi di adottare un figlio il protocollo evidentemente prevede che tu TI SENTA COLPEVOLE. Che tu sia sospettato di coltivare motivazioni abiette, di avere un rapporto automaticamente malato con la tua psiche e/o con quella degli altri, di volere un figlio per puro egoismo, di voler trattare un figlio come un tuo accessorio à la mode e/o come un catino in cui vomitare le tue personali frustrazioni, i tuoi traumi, i tuoi bisogni.

Figuriamoci come sarebbe stata letta una frase come “Beh, noi siamo insegnanti, ora abbiamo due mesi praticamente liberi da impegni, la casa in montagna e i parenti a Genova, ci farebbe piacere portare S. con noi qua e là almeno qualche giorno, ma se non si può faremo come abbiamo fatto finora.” Anatemi, scomuniche, pubblica esecuzione.

I due statalidimerda nullafacenti (e con la casa in montagna, bastardi). I due egoisti che vogliono sradicare la bambina dal suo contesto e sbatacchiarla in qua e in là per l’Italia perché loro devono fare le ferie. Nella migliore delle ipotesi, i due insicuri che non si sentono legittimati nel loro essere coppia se non possono esprimersi in una dimensione di genitorialità (come parlo bene lo psicologhese, vero?), o i due ingenuotti superficiali che credono di poter scavalcare le umane e le divine leggi del Concilio Supremo degli Stronzi del Sommo Tribunale, e per questo saranno biecamente puniti.

Tutto sommato sono sempre più convinta che in questa storia capitata per caso con A. e S., almeno finchè non si arriverà al maledetto TM, abbiamo a che fare con gente normale, con teste normali, dotate di normale buon senso, che ci considerano normali adulti, senza figli e senza esperienza, ma pieni di buone intenzioni (di cui peraltro è lastricata la strada per l’inferno: ma infatti, se in paradiso ci vanno i rigorosi, i sospettosi e i fondamentalisti, è meglio se andiamo per di là, direi).

Oltre a questa riflessione vorrei peraltro aggiungere che a me, quest’anno, non me ne può fregare di meno di andare al mare (quando mai, a essere onesti?) né tutto sommato in montagna, sebbene la seconda opzione talvolta venga in mente per l’affetto verso i miei posti, e come una risorsa notevole, ora che è venuto il caldo. Mi frega di stare con S. da qualche parte e che si abitui a passare la giornata con noi. In seconda istanza mi frega, e non poco, di portare in vacanza l’Uomo che, diciamolo, è come un bambino, se si annoia è una piaga mortale.

Poi non so come la prenderà lui quando gli dirò che secondo me S. dorme da noi già domani sera, così giovedì siamo belle comode per andare in piscina.

Perché il neogenitore Uomo sta facendo un po’ fatica a organizzare la nostra vita intorno a S. Credo che ultimamente abbia fatto un salutare bagno nella realtà, e stia pensando con timore a quando la sua mogliettina Castagna non sarà più tutta per lui e una terza persona dividerà il nostro appartamento. Infatti è diventato tutto una tenerezza, tutto una nostalgia, tutto un’overdose di miele e marshmellow: ve lo devo dire, non mi sentivo così corteggiata da… umm vediamo… otto anni?

Insomma, capirete che, tra il mio principe all’apice della pucciosità e la mia principessina tutta una coccola, io quest’estate sto all’ingrasso, mi sento pienamente appagata e posso soffiare e sorbire (contrariamente a quanto sostengono i Genovesi, con un noto detto locale) anche se me ne resto in città. E comunque, non resteremo in città!!! Siamo la Famiglia d’Appoggio Ufficialmente Autorizzata! Eheheheh.

Qualcosa peraltro mi suggerisce che dovremo andarci piano. Il tirocinio fatto con A., che, diciamolo serenamente, andava in palla di fronte a ogni cosa nuova, è servito a calarsi un pochino nei panni di questi ragazzini che da troppo tempo non vivono in famiglia, o che una famiglia degna di questo nome in fondo non l’hanno mai conosciuta. Non si può portare S. a destra e a manca in luoghi nuovi, in mezzo a facce nuove, e inserirla bel bello nella nostra vita. Ci vorranno passi piccoli e cauti, per fare in modo che non si scompensino i suoi fragili equilibri.

E’ francamente terrorizzante la responsabilità che ci stiamo prendendo, eppure quando penso a tutti i piccoli tasselli con cui vorrei riuscire a comporre, un po’ per volta, la nuova vita di S., sono enormemente attratta dalla sfida, mi sento miracolata anche solo dal fatto di poterci provare.

E’ questo che secondo me quelli dell’adozione non capiscono. Che per formare una famiglia (e credo sia così per qualsiasi tipo di famiglia) ci vogliono tantissimi fattori, ma il miracolo è una componente essenziale. E contemplarlo ridendo, invece che stare lì con gli occhi bassi a flagellarsi, non vuol dire per forza essere stupidi, né superficiali, né egoisti. Forse vuol solo dire viverselo.

 

 

sabato 13 luglio 2013

Incoming family




Che dire.



Ci siamo dentro fino al collo. Sudato, il collo.



Tentiamo di farla felice, e in effetti sembra contenta. Questa settimana abbiamo festeggiato il suo compleanno. Due volte. Una tra di noi (famiglia allargata composta anche dal Visconte, da Registino Diciottenne, con il quale comunque la situazione non si definisce, e dalla migliore amica di S., Deliziosa). E una seconda organizzata da lei nella saletta dell'oratorio, con la gente di Paesino a Punta e un paio di ragazze della comunità.



Mentre penso e ripenso a ogni dettaglio di quel che organizziamo, e ogni giorno mi stupisco di quante cose si riescano a fare in 39 ore (il giorno di 24 ore è stato abolito da una recente riforma del calendario, non ve ne siete accorti? Si è deciso di fare a meno dei consueti parametri astronomici e di concentrarsi sulla produttività...), mi rendo conto che stiamo cercando di sviluppare il rapporto lungo due assi principali.



Uno è l'aspetto “casa”. Imparare ad avere confidenza con noi, con il nostro modo di vivere, i nostri spazi. Osservo tutto quel che succede per la prima volta: S. che si sdraia sul suo letto per fare una telefonata a Vassilissa, S. che va in cucina a prendersi la merenda, Bontcho che sale in braccio a S., Matilda che lecca lo yogurt dalle sue dita, noi che facciamo le cose normali tipo lavarci cambiarci mettere a posto casa.



Qua e là,una frase di S. sottolinea gli eventi anche minimi che contribuiscono a farle fare il nido, a farle mettere radici: “E' la prima volta che apro il frigorifero!” E così capiamo che questi aspetti del quotidiano, che pian pianino diventeranno automatici, hanno tanto significato.



Io rinforzo, rinforzo il tutto, più che posso, con un paziente lavoro di cesello: “Stanotte ho dormito sul TUO letto perchè l'Uomo aveva caldo”, le dico, e lei gongola.



L'altro versante è l'aspetto sociale. Nella sua giornata già così piena di emozioni, ogni tanto spunta una faccia nuova. Per esempio, l'altro giorno, frastornatissima, ha conosciuto per caso un mio collega, due bidelle della mia scuola, la Fata Romena, la Diavolessa, Grande Manzo, Bibi e Pallina, e tutti sembravano sapere chi era, alcuni anche che era il suo compleanno, e l'hanno riempita di auguri. E poi si è vista arrivare la sua torta elegantemente servita a tavola dal cameriere, con candeline, decorazioni, calice di moscato e tutto l'ambaradàn, e ho visto sul suo faccino, che cambiava espressione ogni pochi secondi, e a volte pareva sgomento, che sta veramente succedendo tantissima roba tutta insieme nella sua vita. Oggi diceva stupefatta: “Come sono stanca! Perchè sono così stanca?!” e io le ho detto che in effetti sono state giornate emozionanti e piene di cose da fare... oltre che afosissime, ahimè. Chissà che faccia farà quando scoprirà che mia madre le ha comprato un regalino senza nemmeno averla mai incontrata.



E intanto anche noi iniziamo a mettere piedi fuori nel mondo in tre e non in due, e come si può immaginare è una cosa sconvolgente.

C'è tutto un gioco di rimandi e di specchi, vediamo riflesso nel comportamento degli altri quel che sta succedendo nella nostra vita.

Le persone che ci chiedono di lei. Gli educatori che sanno i dettagli di casa nostra perchè S. parla di noi continuamente. I ragazzi della comunità che ormai ci considerano parte integrante del loro panorama quotidiano. Il Visconte che si è autoeletto zio, e l'altra sera prima ha fatto venire la lacrimuccia a me, perchè si è ricordato di portarle un regalo, e poi se l'è fatta venire lui, quando la principessa lo ha baciato per ringraziarlo. Sanguedelmiosangue che frigge per conoscerla, la Zia Buona che mi dice “Poi portamela, eh”, mia madre che le compra il regalo e cerca il significato del suo nome su Internet.



Si sta creando una rete.



Oggi è anche successa una cosa bellissima, per me. S. ha detto che ieri A. è passato dalla comunità, ma a volo radente, per poi tornare da sua madre, e così non è venuto alla festa, però l'ha abbracciata forte forte. E lo diceva con tanta nostalgia del suo amico e confidente, che di nuovo considera con gli occhi di prima ora che è meno agitata all'idea che le rubi il posto qui da noi. Allora mi sono permessa di suggerirle che possiamo invitarlo a uscire con noi quando vogliamo. E sembrava dell'idea. Per un attimo ho avuto una visione di quello che potrebbe rappresentare cotanta grazia ed abbondanza per me e l'Uomo, e mi hanno ceduto le ginocchia.



Ma non siamo ingordi, e non corriamo, che c'è ancora tanto ma tanto da costruire, qui.


mercoledì 10 luglio 2013

SS - Primo incontro

Non sarebbe male che qualcuno ci spiegasse perchè gli uffici dei servizi sociali devono avere sempre l'aria così squallida.
Voglio dire. Almeno, spolverassero gli scaffali. I quadri.

Ma no. Le piante sono sempre le stesse e anche il linoleum e anche le tubature lungo il muro e i manifesti. Dio, ma se io avessi un problema e mi accogliessero in un posto così, mi aprirei le vene, pensando di essere arrivata al punto di non ritorno.

Comunque le due assistenti, naturalmente una grossa e una sottile, una materna e una panterosa, una sorridente e l'altra seria (ma che le abbinano apposta, come il poliziotto buono e il poliziotto cattivo?) alla fine hanno telefonato alla responsabile della comunità dando un parere molto positivo. E pare che presto ci autorizzeranno a portare S. via con noi per il weekend. Poi per carità, tutto il resto sono solo cattive notizie eh. Ma che vi aspettavate voi? No, perchè l'Uomo è quello fiducioso. Stamattina presto io ero isterica. “'Sti minchia di servizi sociali del cazzo - Dio solo sa cosa ci diranno - ho l'ansia – 'fanculo 'fanculo 'fanculo” è la frase di senso compiuto che sono riuscita ad articolare mentre mi vestivo per andare, il resto erano sbuffi e gemiti (→ figura femminile stabile ed equilibrata assai idonea al reinserimento in società di adolescenti disadattati).
L'Uomo mi accusava di esagerare.
Tre ore dopo “Che ti avevo detto - porca zozza - te e il tuo cazzo di magico mondo degli unicorni fatati” è la cosa più affettuosa che gli ho detto uscendo dal tristissimo edificio statale (→ legame consolidato di coppia basato sul rispetto e l'ascolto reciproci).

Comunque stasera la topina ha telefonato dalla residenza estiva in chiulo a Satana per raccontare la sua giornata.
Ma soprattutto per sapere della nostra, di questo incontro.
E per chiedermi (due volte) se domani allora passeremo “da casa” a cambiarci per la cena, dopo che l'avrò prelevata allo studio dentistico.
E per fingere di non sapermi dire se il dentista è alle quattro o alle quattro e mezza, così dopo venti minuti ha potuto ritelefonare per dirmelo.
 
Balsamo per l'anima.
 
 
 

lunedì 8 luglio 2013

domenica 7 luglio 2013

Piccola donna


E' bella.

E' sveglia.

E' autonoma.

E' deliziosamente, spietatamente femmina, a volte un po' manipolatrice, sempre accattivante. L'Uomo, infatti, è cotto e mangiato.

Fa le domande a effetto: “Perchè hai messo i campioncini per me su questo letto, in questa stanza?” “Perchè se ti fermi a dormire, quella è camera tua”. (E lo sai benissimo, ma volevi sentirmelo dire...)

Fa le frasi mirate: “Non ho mai avuto una vera torta per il mio compleanno.”

Fa domande assurde mentre è al supermercato con l'Uomo, e lui tutto goduto che le spiega.

Ma sono una donna anche io. Oggi ho piazzato un tiro da tre punti con le pantofoline lilla: “Che belleeeeeeeeeeee”, ha urlato. Un altro con le mie magnifiche pallette omeopatiche, con cui abbiamo parzialmente risolto il problema starnuti allergici.

Sta cominciando a crederci. Infatti da quella ragazza spigliata, forte e indipendente che avevo visto i primi giorni sta spuntando, come un elfo da sotto la corteccia di un albero, una bambina che vorrebbe le coccole. Che fa i capricci, i broncetti, le smorfie. Che non si capisce cosa mangi volentieri e bisogna farle provare le cose che non ha mai assaggiato. Che vuole la buonanotte telefonica.

Poi va beh piccola è piccola, ma anche no: oggi le abbiamo regalato vestito e scarpe per la sua festa di compleanno. L'Uomo è diventato un personaggio epico da Tally Wejil, per aver percorso decine di volte avanti e indietro il negozio con in mano vestitini taglia trentotto e scarpe tacco nove, dieci, undici, disquisendo in modo competente con le commesse sull'esatta tonalità di verde acqua che dovevano avere gli accessori, fino a scovare personalmente le più spettacolari scarpe nere tacco dodici che io abbia mai visto. Un paio di scarpe che uno se lo immagina addosso a, non so, Uma Thurman?, ma in una serata veramente assassina. Bene, ora sono di S. Avremo esagerato? Va beh ma con quel vestito le stavano uno schianto.

Non lo so. Anche a me, che peraltro sono molto presa dal ruolo e oggi l'ho anche sgridata un po' per come si rivolgeva alle educatrici, alcune cose fanno l'effetto di rendermi le ginocchia molli come burro. Per esempio questa fisicità, per cui siamo sul divano a vedere un film e S. mi si accoccola contro. Con quella pelle scura che è sempre freschissima anche quando ci sono trentaquattro gradi. Sembra seta. Il mio cuore non accelera per paura di disturbare la magia, ma io lo sento che batte.

E poi oggi c'è stato questo. Che lei era nel camerino del negozio e mi chiamava dentro per chiuderle la zip sulla schiena o restituire le scarpe, e a un certo punto, mentre io assaporavo con una sensazione stranissima questa scena, la stessa in cui tante volte io ero la figlia che si provava il vestito e fuori dal camerino c'era mia madre, lei ha alzato gli occhi e ha detto: “Ma guarda, sono a scegliermi il vestito per il mio compleanno... qui con voi... questo momento non me lo dimenticherò mai!” e io stavo appunto pensando quelle parole, nel medesimo istante.

Questo gioco del “non me lo dimenticherò mai” lo fa da diversi giorni, e mi fa una tenerezza indicibile. E' come se stesse facendo un album di scatti dei nostri primi momenti insieme. E' talmente plateale che mi sono anche chiesta se non sia una posa: riconosco in alcuni suoi modi, in alcune sue frasi, anche una gattosità leggermente studiata, che mi mette un pochino a disagio. Ma non mi preoccupo, per due motivi. Uno, che io sono l'ultima persona che si lascia abbindolare dalla gattosità, e lei con me, appena mi conoscerà meglio, cambierà registro (con l'Uomo, invece, ridotto un budino privo di volontà propria da certi artifici propriamente femminili, direi che le conviene di gran lunga continuare). E due, che a volte al contrario S. fa o dice cose incredibili, inaspettate, da cui traspare una tale infantile, disperata necessità di rassicurazioni, che le si perdona qualunque piccola astuzia inventata per attirare la benevolenza e l'attenzione.
 
Oggi dopo pranzo l'ho trovata semisdraiata sul divano, e visto che non osava mettersi più comoda le ho slacciato e levato le scarpe, per poi allungarle i piedi sul posto vicino.  Questo le è piaciuto un casino, si è visto benissimo, e la sua espressione sorpresa e timidamente felice mi ha convinto molto più di tante parole.

sabato 6 luglio 2013

Quando non lo sai

Solitamente le emozioni sono semplici da decifrare.

Voglio vederti ogni secondo, stare con te, parlare con te, starti addosso, sentirmi toccare dalle tue mani, ascoltare il tuo respiro di notte, quindi è chiaro che ti amo.

Stare con te mi fa ridere, mi fa respirare con il diaframma, mi riempie gli occhi di luce, quando passiamo del tempo insieme mi sento più giovane, quindi è chiaro che ti voglio bene.

Quando entri nella stanza mi irrigidisco, cambio tono di voce, incurvo le spalle, stringo le labbra, quindi è chiaro che mi stai sul cazzo.

Mi gira la testa, ho lo stomaco segato in due, gli occhi che si aggrappano a tutte le vie d'uscita, quindi è chiaro che ho paura.

E via così.

Poi ci sono quelle situazioni. Quelle giornate. Come quando all'apice della crisi con l'Uomo si è infiltrato nella mia vita l'Amore Sbagliato, che poi io mesi e mesi dopo una sera mi chiudevo uno sportello di cucina su un dito all'ora di cena, o rompevo sbadatamente una tazzina, e scoppiavo in lacrime, e, mentre mi ricomponevo, sentendomi come un paese bombardato, mi chiedevo: ma che c'è? che c'è? e poi veniva fuori che era arrivata la primavera e senza saperlo stavo di nuovo attraversando un anniversario.

Stamattina per esempio erano le 5.48 di domenica e io: sveglia. Il primo pensiero è stato: eh ma dai su basta agitarsi per 'sti documenti che devi trovare per la commercialista.
Ho retto ancora una mezz'ora, rigirandomi vicino a un Uomo che bello è bello, soprattutto ora che dorme a torso nudo, ma scotta di caldo ed è tutto sudato e se lo sfiori per errore con un dito del piede reagisce come un orso a cui hai acceso un fiammifero in un orecchio.

Arrivata al consueto giro di blog dell'alba, mentre il caffè passa in cucina, eccomi qui a pensare che sì, la commercialista e il 740 e tutta quella roba che devo ancora smistare mi mettono ansia, ma oggi S. viene a pranzo e da quando ieri mattina l'ho invitata mi frega solo di quello.

E quindi: ma sei nervosa perché S. viene a pranzo?

Strano a dirsi: no.

Ieri le ho comprato un paio di pantofoline lilla numero 35 e solo guardarle mi ha risolto tutti i consueti rigiri ("ma io non so cucinare decentemente, ma cosa le faccio da mangiare, ma poi cosa facciamo con questo caldo dopo pranzo") e non me ne frega niente di niente a parte il fatto che voglio averla qui a casa con noi e parlarle un po'.

E allora sarà la telefonata di ieri con Santa Maria degli Orfani. Quella donna straordinaria, simpatica e in gamba, è capace di strapparti più organi di quanti credevi di averne in corpo, e lo fa con la naturalezza con cui un chirurgo ficca le mani nell'addome di qualcuno, spostando pezzi a destra e a manca mentre parla di quel che ha mangiato la sera prima.

Ma, mi dico, non mi aspettavo niente di diverso.

Alla fine, credo sia la sigaretta che ho fumato pianissimo ieri sera sul terrazzo. Rendendomi conto che fumare, da qui in poi, e per chissà quanto, mi farà stare male come un cane picchiato. E che questo è un problema mio, che non potrò condividere con l'Uomo né con S., e che chiunque altro sminuirà con una frase incoraggiante.

Non lo so come si chiama questa sensazione di oggi.

So che me l'avevano detto, e l'avevo letto da tutte le parti, che era dura. Lo è.




venerdì 5 luglio 2013

Prendere il timone


Qua ci vuole la mamma.

Spiego.

S. ha, come tutti i ragazzi della comunità, una storia tremenda alle spalle.
E ha bisogno di raccontarmela. Ci gira intorno tutti i giorni, quando ci vediamo, fa continui accenni.
Ma di solito siamo in giro, stiamo andando dove c'è altra gente, o siamo già in mezzo ad altra gente.

S. cerca di catturare la nostra attenzione. L'altro giorno, quando è venuta per la prima volta a casa nostra, ha manifestato una reazione allergica, probabilmente al pelo dei gatti. L'Uomo si è agitato tantissimo. Bene, giovedì sera a casa ci siamo stati meno di mezz'ora, di passaggio, e lei cosa ha fatto? Ha ficcato la faccia nel pelo del gatto, appena entrata. Occhi gonfi, starnuti, lacrime, tosse.
S., a cena con noi, si lamenta tutta la sera del mal di denti e mangia pochissimo perchè sente dolore, però poi non chiama il dentista e nei giorni successivi non manifesta particolari problemi.

Come se non bastassero questi richiami plateali, Mamma Castagna s'è accorta anche di un'altra cosa. Tra le emozioni che prova per tutto quel che le succede, gli incontri con la psicologa, il lavoro coi bambini delle elementari al centro estivo, il caldo, il mangiare poco, il dormire tardi, S. è sfinita. Alla sera, quando la riporto alla Casa di Pony, a volte non riesce a fare una frase intera senza impappinarsi. E adesso, attenzione, S. si trasferisce, con A. e con tutti gli altri, nella località persa in cima alle campagne dove la cooperativa che gestisce la comunità ha un'altra casa famiglia. A 35 km da qui, di strada di campagna con pullman lentissimi, e proprio ora che lei deve forse cominciare un periodo di lavoro, come borsista, da una pettinatrice.

Quindi. Giovedì sera in pizzeria a un certo punto, tra i capricci per il mangiare che faceva lei, l'ora, e la lentezza assurda con cui ci hanno servito, dalle profondità della prof. Castagna, che spesso si sente e si comporta come una ragazzetta sciroccata, è emersa una serissima mamma, che ha sentenziato: “Non ne mangi più? - Devi prendere qualcosa per il dente – E' tardi – Ora ti riaccompagno” e si è autorevolmente alzata da tavola, con le chiavi della macchina in mano. Devo dire che lei non ha fatto una piega.

Poi ieri sera ho approfittato del fatto che fossimo soli, io e un Uomo pesantemente di cattivo umore, per fare ad alta voce il punto della situazione.

Se date retta a me, adesso:
  1. 1. S. va a casa a dormire a un'ora umana, quando non ci sono cose particolari da fare, tipo la sua festa di compleanno, etc.
  2. S. comincia a girare con un antistaminico in borsa, a fare una cura omeopatica contro la rinite, e niente niente ci facciamo scrivere anche la visita dal dermatologo per quelle macchioline chiare che ha sulla pelle, e i test delle allergie;
  3. S. si fa mettere ulteriormente a posto i denti;
  4. S., invece che strapazzarsi sempre in giro come quell'agitato di A., che invece in una stessa stanza troppi minuti di seguito non riusciva a starci, comincia a venire qui a chiacchierare e evita di toccare i gatti continuamente, e viene qui a riposarsi anche un po' sul letto o sul terrazzo se vuole, e a mangiare a pranzo e a cena in un orario normale. Così avremo anche tempo di parlare. Questo, in attesa che l'assistente sociale, che dobbiamo vedere mercoledì, ci dica che possiamo anche portarcela un po' in montagna, a Genova o comunque tenercela a dormire.
  5. S. respira profondamente e si convince, pian piano, che, sebbene stia succedendo di tutto nella sua vita, non c'è bisogno di correre. Che instaureremo delle buone, delle serene e ripetitive abitudini nelle quali potrà accoccolarsi come un gattino finchè non si sentirà sicura.

Non è secondario nemmeno un altro aspetto: che, quando Mamma Castagna avrà iniziato a farsi sentire su quando si dorme, cosa si mangia e che medicine si prendono, finirà sicuramente il periodo di simbiosi assoluta che si è instaurato tra noi due (l'altra sera, io: “Porto il cane a fare pipì”, e lei: “Stai via molto?”) e ricomincerà l'era dell'Uomo, come sempre quando la madre spacca le balle. E questo è un bene perchè l'Uomo, si dica quel che si vuole, ma da quando la superstar della cosa non è più lui, a sua volta è sempre stanco, malaticcio e di cattivo umore.

Prima mossa: stamattina al mercato compro un paio di ciabattine per quando S. viene qui a casa.
Messaggio: mettiti comoda. Rallenta, rilassati, riposati.

Seconda mossa: telefono e mi faccio relazionare a proposito di 1) denti 2) starnuti 3) pelle 4) spostamenti e programmi dei prossimi giorni.
Messaggio: ti marco stretta, voglio che tu stia bene, bando alle ciance, ora me ne occupo io.

Terza mossa: mi sa che anche questo weekend non vado in montagna.
Messaggio: io per te ci sono.

Ma ci mando l'Uomo, così ne ho uno in meno che si lamenta.
Messaggio: arrangiati, hai voluto una figlia, adesso non sei più tu il bambino di casa.

Mi sanguina il cuore

A questo punto, per andare in ordine cronologico, dovrei raccontarvi di A.

Ma, lo sapete, la prima legge dell'affido familiare è: ti danno un figlio, e te lo danno da un giorno all'altro. E la seconda legge è: ti danno un figlio, e possono levartelo da un giorno all'altro.

Ho scritto pagine su pagine, dettagliatissime e palpitanti, sul rapporto che si è creato in questi mesi con A. Ma sto troppo male per riassumervele, e anche per spiegarvi come mai adesso devo assolutamente riuscire a staccarmi da lui. Ci ripenserò più avanti. Devo almeno averne potuto parlare con lui, prima.

E poi, adesso c'è S.

S. è un altro pianeta.

E' meravigliosa.

S. l'ho conosciuta l'8 di giugno, e abbiamo cominciato a portarla fuori dalla Casa di Pony il 22. Sembra una vita e invece sono pochi giorni.

S. e io ultimamente siamo in simbiosi, e quando sono con lei, o sono occupata per cose che la riguardano, il cuore non mi sanguina, no. Anzi.

E spero davvero che stavolta ci siamo dentro fino al collo. Settimana prossima vediamo l'assistente sociale. Nel frattempo, si vede che io sono fatta così, sono entrata in modalità mamma, anche con lei. Come si vede dal post successivo.

giovedì 4 luglio 2013

Nella precedente stagione di Spazio abbastanza

Sono riuscita in meno di dodici ore a rileggere tutto il blog privato e condensare in 14 post un riassunto delle cose salienti accadute tra il 2010 e il 2012.

Ora sono pronta (si fa per dire) a riassumere i primi INCREDIBILI mesi del 2013.

Con il tag "nella stagione precedente" ci sono, in versione abbreviata, mondata e sciacquata in Tanaro, i giri e i rigiri delle nostre precedenti esperienze.  Da qui in poi, invece, quello che vi racconto è l'avventura più bella della nostra vita.


Dopo il tribunale


Sempre per chi passasse di qui attratto dal sottotitolo del blog e in cerca di conferme.

A noi è capitata una brutta giudice. Cattiva. Ignorante. E stressata. Che non capiva la relazione elaborata dai servizi sociali, e nemmeno le nostre risposte alle sue domande, e non cercava di capire quando ci spiegavamo. E a cui dava fastidio che noi fossimo allegri e complici. Può succedere, ma non ve lo auguro.

E questo è quel che ho scritto il 13 febbraio, tornata da quello che, ad oggi, è stato il nostro ultimo contatto con il TM di Torino.

Per vostra informazione, sono passati diciassette mesi, e no, questa reazione non era la comprensibile botta di frustrazione del primo giorno. La giudice era proprio brutta.




Cose che si possono fare in due anni solari






Finire il romanzo.

Scrivere tre sceneggiature di corti, lunghi e/o mediometraggi.

Ristrutturare la casa in montagna.

Dare gli esami del corso di buddhismo.

Visitare l'Umbria e andare a passare due settimane a Roma, da tutti gli amici del festival. Più un altro viaggetto o soggiorno in lussurioso centro benessere.

Fare il corso da amministratore di condominio.

Leggere di nuovo tutto George R. R. Martin, ma in inglese.

Organizzare due festival del cinema e diversi altri eventi culturali.

Portare in terza i rospetti di prima A completando per la prima volta il precorso triennale di latino (e magari anche il corso preparatorio di greco, l'ultimo anno).

Un figlio naturale, a darci sotto seriamente anche uno e mezzo. O due gemelli. Castano-biondi e con gli occhi verdi, lui pacioso e coccolone, lei indipendente e tremenda.
In culo la legge.
In culo la giudice.
In culo la camera di consiglio.
In culo il tribunale dei minori, le sue stanze soffocanti, i suoi libri per ragazzi del 1989, il suo metal detector.

In culo tutto ciò che mi dà fastidio.

Se due anni devono essere, bene, saranno due anni favolosi, da fidanzati, da innamorati, da ragazzi, senza un pensiero. Due anni di libertà totale. Voglio passarli a fare le gare di trombata in dolby surround con la neocoppia del piano di sotto. Voglio passarli viziando mio marito all'inverosimile. Voglio passarli andando a ballare. Voglio passarli mandando a fare in culo tutto quello che mi pesa, che detesto, che gli altri pretendono da me ingiustamente. Voglio godermeli.

Andate al diavolo, protocolli di merda
.




Dopo altri dieci giorni in cui masticavo amaro e digrignavo i denti, ho prodotto anche questo:

Bruttissimo carattere

"Qui dice che ha un rapporto conflittuale con sua madre."
"Sì, beh, conflittuale lo è stato, ora non abitiamo più insieme da undici anni, chiaro che va meglio... non eravamo tanto fatte per vivere sotto lo stesso tetto."

"Qui dice che ci tiene ai legami di sangue."
"Sì, nel senso che capisco l'esigenza di garantire a un figlio la continuità con i suoi familiari, quindi capisco il rischio giuridico."

"Qui dice che non avete niente che certifichi che non potete avere figli."
"No, infatti."

"Qui dice che lei ha un problema alla tiroide e non si cura."
"Non è che non mi curo. E' che ho fatto dell'altro finora, e comunque a parte alcuni periodi di particolare stress non mi dà nessun fastidio avere una tiroidite autoimmune, sto molto peggio se mi viene la colite."

"Qui dice che lei ha interesse per il buddhismo."
"..."

Sì, brutta puttana. Sono buddhista e ho una tiroidite e non vado spesso d'accordo con mia madre e credo che se un bambino può restare con sua nonna sia una buona cosa, e sì, oh guarda, che schifo, vecchia vacca che non sorridi mai, le mie ovaie potenzialmente funzionano. Ciò ti infastidisce?

Mio piccolo e sconosciuto Abbinamento, la giudice era simpatica come la strega di Biancaneve, un attacco di emorroidi e un inquisitore che si è svegliato male. Tutti insieme.
Ha detto alla tua Mamma Castagna sostanzialmente che lei come madre adottiva è inadeguata.
Ha parlato di due anni d'attesa.
Ha scritto sotto il nostro naso una relazione piena di errori di sintassi da far rabbrividire, che rendeva quasi incomprensibile quel che avevamo detto. E ce l'ha anche fatta firmare.

Ma tu sei fortunato, caro il mio misterioso Abbinamento, perchè la tua Mamma Castagna ha un carattere di merda e quindi quando è tornata a casa aveva preso due decisioni. Presentare la domanda anche al tribunale di Genova, dove pare siano un po' meno idioti. E fottersene della giudice: iscriversi al corso di ceramica e al master invernale e alle conversazioni in inglese della British, e mandare tutto e tutti a fare in culo. E godersi Papà Uomo in santa pace ancora per diversi mesi, magari dandoci sotto a farti un fratellino.

Un giorno, piccolo Abbinamento, ne parleremo e ringrazierai la mamma dal caratteraccio insopportabile, che quando si sente criticare perde completamente quella scarsissima umiltà che ha di solito, e invece di flagellarsi contrattacca, incazzandosi come una leonessa. E sbagliando, sicuramente, un sacco di cose, ma, di solito, centrando l'obiettivo finale. Che, in questo caso, tesoro, sei tu.

Il foglio!!!

23 dicembre 2011:

Oh no

...non va per niente bene.

E' arrivato il foglio da crocettare.

E ora ho paura.
Ho veramente paura.

Problemi

Nel corso degli incontri con le psicologhe, stavo veramente male, e per tanti motivi:

Non ho niente contro chi impara, e onestamente lo so che io e l'Uomo siamo un caso interessante per gli psicologi, non fosse altro perchè parliamo volentieri. Quindi, quando la psicologa, che per inciso non è una zombie strappabudella ma una fretuela (cioè una magrolina scattante e tremebonda, come lo diremmo a Zena) molto poco spaventosa, e con la voce dolce, ha chiesto se al primo colloquio di coppia poteva assistere una giovanissima tirocinante bionda dall'aria timida, abbiamo detto sì.

Però me la sono ritrovata anche al secondo colloquio e avrei fatto a meno, visto che era quello individuale e mi è toccato tirar fuori tutte le magagne, e i casini ossessivo-compulsivi sul cibo, e il rapporto con mia madre, e patapim e patapum.

Poi quando la psicologa "grande" ha dovuto rispondere a una chiamata sul cellulare e la "piccola" ha continuato il colloquio da sola per mezz'ora, onestamente me la sono segnata, e se mai non mi trovano adeguata come madre faccio ricorso, no, sul serio.

Perchè la ragazza, a precisa domanda, ha risposto di avere venticinque anni, e io, che ne ho undici di più, al pomeriggio, dopo questo colloquio, sono andata a Genova a vedere mio padre sostenere cose assurde con la commercialista, e girare con DIECIMILA euro in tasca, e dire che in banca gli avevano fatto un sacco di storie per darglieli (e te credo: ultimamente spesso dice "mille lire" per dire "mille euro" e si confonde coi conti), e dopo sono tornata a casa e ho pianto un'ora parlando con l'Uomo di come siamo messi adesso come coppia (male. Così male che è un casino pensare che abbiamo delle scadenze con il tribunale dei minori proprio ora) e di cosa pensiamo di fare, e di cosa c'è che vale sempre la pena, e di perchè stiamo facendo tutto questo se siamo in crisi nera, e di come mai lui con me sembra così insofferente e infelice e io mi sveglio di notte col mal di stomaco, eppure, quando ci chiedono di parlare di noi come coppia, ci sentiamo ancora così fortunati di esserci conosciuti. O anche, viceversa, di perchè se siamo così una bella coppia io mi sento così sola, e lui è così nervoso, e via con discorsi così, che poi sono le 23.00 e ti scaldi una minestra e te la mangi seduta nel letto della camera degli ospiti cercando di scaldarti il corpo e l'anima, e dormi sola, e al mattino scendi e riprendi a girare la tua brava ruota del mulino sentendoti un po' più vecchia, e un po' più stanca, e un po' più triste del giorno prima.

E, ecco, con tutto il rispetto che si deve sempre a chi impara, NON CREDO PROPRIO che una ragazza di venticinque anni sappia e possa giudicare che vita faccio io, neanche se provo a spiegargliela.

Oggi sono incazzata col mondo. E sono solo le sette di mattina.

Impazienza

11 dicembre 2011

Mi pareva strano essere così paziente.

Che poi una può fare il mulo, il mulo ostinato e resistente, che sopporta tutto anche la stanza senza finestre dove tocca aspettare la psicologa, che sopporta anche la presenza di una cazzo di tirocinante al colloquio più importante della sua vita, che regge che le chiedano se "ha esperienza di colloqui psicologici" (un anno di psicanalisi e quasi tre di psicoterapia bastano?) come PRIMA domanda del colloquio e, quindi, di svelare le magagne fin dalla prima risposta.

Che poi una può andare a un colloquio sull'adozione anche dopo una delle peggiori crisi coniugali mai vissute e anche essere fiduciosa.

Che poi una può fare tutto e il doppio di tutto anche senza alimentarsi decentemente, curarsi la tiroide e dormire.

Ma se la psicologa ti dice che l'assistente sociale ha detto che le siamo piaciuti tantissimo, allora mi viene voglia di saltare tutti i passaggi del cazzo che devo ancora fare e che questo bambino, santo cielo, me lo diano e basta.

Proiezioni rassicuranti

21 novembre 2011, vigilia del primo colloquio con la psicologa del team

Le mie proiezioni per domani

La psicologa




Io e l'Uomo di fronte alla psicologa



File numero XXX

3 novembre 2011

Eccoci qui, siamo il file numero XXX,

coppia di prof di lettere genovesi residenti in Piemonte,

piuttosto giovani,


...e,

beh,

abbiamo due braccia due gambe una testa (ciascuno),

un po' di genitori (sei, e ci consideriamo fortunati)

un po' di sorella e cognata (mezza, cosa di cui ci scordiamo spesso e volentieri)

un po' di cugino (gaio, e ci piace così)

due posti di ruolo da dipendente statale,

una buona disponibilità economica,

due gatti,

un cane,

la Carogna, ma mica sempre,

diverse fobie,

qualche idiosincrasia,

Castagna 2 (quella cinica e cattiva),

molti interessi,

un sacco di libri,

un'incrollabile tendenza politica a sinistra,

diverse centinaia di ex alunni,

un gran bel disordine in casa,

una tata romena (spero),

due macchine e una bici (in cantina).



(Che bambino abbinereste a due così?

No no no, non devo pensare a questo, devo pensare a noi due, a come gestirci adesso, in questi mesi che saranno sicuramente pazzeschi.)

Passo le giornate a pensare quali sono i nostri punti deboli e quali sono i punti di forza. Cerco di prevedere le difficoltà. Immagino la stanchezza (e ne ho il terrore, dopo aver vissuto a latere delle mie amiche alcuni periodi). Rifletto sulle responsabilità.

Dopo un po', m'incazzo con l'Uomo se non mi pare stia facendo altrettanto.

Insomma, credo di essere incinta, dal punto di vista di come mi è cambiata la testa, anzi, peggio, sono molto più cerebrale che se fossi incinta, perchè non ho le trasformazioni del mio corpo fisico a distrarmi da quel che penso.

Mi si è già riempita la vita di significato, e l'Abbinamento è ancora una cosa lontanissima.

Strazio

Era il settembre 2011:
Hanno sbagliato. Certo, hanno sbagliato a non rassegnarsi. Hanno sbagliato, forse hanno perso tempo. Forse hanno tentato troppe strade.

Però lui, parlando di sua figlia, piangeva come un vitello. E lei, comunque stiano i torti e le ragioni, si sforzava, lo vedevi, di dare un'impressione di equilibrio e di compostezza, sapendo bene che gli assistenti sociali e i giudici guardano molto a ogni segno di debolezza o di agitazione.

La coppia di Mirabello Monferrato è anziana, troppo anziana per avere in casa una bimba di un anno con tutte le sue esigenze.

Sicuramente i servizi sociali hanno studiato a lungo il caso. Certo, hanno pensato a togliere la bimba alla famiglia prima possibile, per minimizzare il suo trauma. Noi insegnanti sappiamo che è praticamente IMPOSSIBILE togliere un figlio già grande alla sua famiglia, se i genitori sono vivi e a piede libero. Altrimenti sai che lista di ragazzini maltrattati, torturati psicologicamente, picchiati, abusati, potremmo fornire ai tribunali.

Però.

Però io penso che prima di farsi fecondare in Spagna quella signora ha tentato, stando ai giornali, DIECI fecondazioni assistite. E fatto col marito DUE volte l'iter per l'adozione. Certo, se non hai fortuna con la fecondazione e ti respingono non una ma due volte per l'adozione, devi considerare seriamente l'idea che i figli, pur essendo una cosa meravigliosa, forse a te non toccheranno, e potrai, dovrai, sopravvivere lo stesso.
Ma dall'esperienza di una lontana amica che ha fatto la fecondazione (con successo al secondo tentativo, e poi si è categoricamente rifiutata di sottoporsi al terzo) e dalla visione ancora parziale della giostra dei servizi sociali su cui stiamo per cominciare a girare, posso affermare che la vita di questa donna e di suo marito sono state un continuo entrare e uscire da ospedali, sottoporsi a esami, assumere ormoni, sdraiarsi su lettini e essere palpati a destra e a manca, riprendersi da aborti, denudare il proprio animo e le proprie motivazioni davanti a psicologi, essere messi in discussione, criticati, giudicati, sezionati, discussi.

Per carità, la monomania esiste. Queste due persone hanno speso vent'anni della loro vita nel tentativo di avere una famiglia, e in fondo potevano amarsi, fare dei viaggi, prendere cinque gatti e tre cani, e consolarsi tra loro della ferita terribile di non aver dato il loro nome e i loro lineamenti a un figlio.

Però.

Penso ai vicini di casa che hanno denunciato dopo un solo mese che la bambina non veniva adeguatamente curata. Magari le hanno salvato la vita, sì. Ma che ne sai tu di come viene preso in un paesino il fatto che l'ex sindaco e sua moglie vadano in Spagna a farsi fecondare quando lei ha quasi sessant'anni.

Penso a quell'omone con il viso affondato tra le mani che singhiozzava. A lei, coi suoi occhialini da bibliotecaria, alla sua vita in mezzo ai libri, nel silenzio, tra una cura ormonale e l'altra, tra un colloquio con gli psicologi e l'altro.

Penso alla Fata Bionda che mi dice testualmente: "Stai attenta, perchè gli psicologi del servizio adozioni saranno molto duri con voi, vi faranno piangere, vi sentirete accusati, attaccati, colpevolizzati, messi in discussione per quello che siete. A me hanno chiesto di entrare a far parte della commissione, ma ho rifiutato, perchè non voglio trattare così le persone, anche se loro lo fanno per testare la vostra idoneità."

Penso a quando all'asilo la bidella mi chiamava: "E' arrivato il nonno a prenderti", e io con tono scocciato le rispondevo: "Non è il nonno, è papà." E ai trentacinque anni miracolosi che ho finora condiviso con quell'uomo serio, equilibrato, elegante, oggi così provato dalla vecchiaia, così testardo e così fragile; penso alla sua delicatezza quando mi avvolgeva nell'accappatoio dopo il bagno e frizionava tutto lo scriccioletto di bambina che ero, facendomi ridere, penso a quella volta che mi si è quasi congelato un piede sciando e me l'ha massaggiato per un'ora tenendolo dentro al suo berretto di lana, penso a tutte le lezioni di storia che gli ho ripetuto, a tutte le litigate che abbiamo fatto, a tutti gli spicchi d'arancia che abbiamo mangiato insieme in cucina la sera tardi. A tutte le volte che non ne potevo più di mia madre, degli uomini o della vita e lui mi ha ascoltato.

Mi chiedo se la bimba va a stare meglio, con genitori giovani e dinamici, o se le stanno togliendo vent'anni e passa di vita con una mamma con gli occhiali, che le leggerebbe o farebbe trovare sul comodino dei libri bellissimi, e un papà con le manone grandi che le costruirebbe la casa della bambole in garage e la abbraccerebbe tutte le volte che si sente giù.

Io mi fido dei servizi sociali piemontesi, mi pare che le persone che abbiamo incontrato finora siano dei veri professionisti, attenti, scrupolosi.

Sono convinta che sappiano quello che fanno.

Alla Fata Bionda ho risposto con una certa serenità che sì, ho paura dei colloqui con le psicologhe, che so che potrebbero non giudicarmi adeguata. Che le motivazioni che abbiamo da offrire io e l'Uomo sono nebulose anche per noi. Che però capisco che è il loro lavoro, fare domande carogna, fare l'avvocato del diavolo, vedere in che punto la facciata crolla, vedere se le fondamenta sono solide.

Che se tra dieci anni saremo ancora senza figli non faremo stronzate tipo costringere il mio utero a produrne comunque uno o pagare un trafficante di bambini dell'Asia di Sudest.

Però nessuno mi leva dalla mente il pianto di quel papà.

Ufficialmente sulla pista dell'adozione nazionale

Ce la siamo presa abbastanza bassa, e solo a settembre del 2011 sono partiti i documenti:

E ora si comincia.

Il tribunale ha la nostra domanda completa di allegati.

Ora, pronti a sviscerare salute, situazione economica, motivazioni, problemi psicologici, etc. con chi di dovere.

Per certi aspetti sono beata, serafica, naturale e quasi sicuramente incosciente.

Per altri, se mi metto seriamente a pensarci, mi vien da dire che forse era più semplice passare alle selezioni per Miss Italia.

L'Uomo è nervoso.

Io non lo so.

mercoledì 3 luglio 2013

L'incubo delle crocette

...se per caso qualcuno tra quanti leggono fosse in procinto di intraprendere il percorso dell'adozione, sia chiaro: io qui esprimo solo le mie idee (che, come si vede da questo e da altri post, non sempre coincidono con quelle del marito medesimo con cui mi sono messa su questa via, figuriamoci se posso spacciarle come verità universali) e non voglio scoraggiare nessuno. Come si vedrà dal seguito, nella vita c'è tempo per cambiare idea molte e molte volte, sulle cose serie, mentre sul proprio gusto di gelato preferito, sulla birra bionda o rossa, sulla marca di preservativi e di sigarette si può essere adamantini e irremovibili per diverse reincarnazioni. Però sappiate che le crocette sul modulo vi perseguiteranno per settimane, da svegli e da addormentati. Soprattutto da addormentati.

Qui siamo al 27 febbraio 2011.

Adozione, giustamente ci diceva oggi l’assistente sociale, da un punto di vista strettamente etimologico vuol dire scelta. Scelta vuol dire che una coppia sceglie di dichiararsi famiglia per un figlio e che, più tardi, di solito nell’adolescenza, il figlio sceglie se si sente realmente parte di questa famiglia o no.

Le crocette sul modulo saranno il nostro pensiero più importante nei prossimi mesi, ora che il corso è finito. I punti da crocettare sono i seguenti: fascia d’età del bambino, adozione di un bambino solo o di più fratelli, disponibilità ad accettare il rischio sanitario.

E già su questi punti, c’è da discutere per minimo sei mesi.

Ma a casa Castagna il casino è ancora a monte di tutto questo. Perché la domanda è di adozione nazionale e/o internazionale.

E, diciamolo chiaro, tanto questo è il mio blog, io dell’adozione internazionale più ne sento parlare meno mi fido. L’ultima è di oggi: la coppia che ci ha portato la sua testimonianza, peraltro con grande calore e entusiasmo, è andata in Perù a prendere un bambino che sulla carta era sano, “con una prevalenza dell’uso del braccio sinistro rispetto al destro”. Arrivati in Perù, il piccino si è mostrato subito francamente emiplegico sul lato destro. Portandolo in Italia, con esami approfonditi è emerso il problema di una scarsa mobilità anche di un piedino, sempre sul lato destro, ed è saltato fuori il motivo: una bella cisti cerebrale, del tutto inoperabile. Poi è emersa una difficoltà respiratoria, ed è venuto fuori che era necessaria un’operazione al cuore per chiudere un foro tra i due atri. Nel frattempo, a lei è scappato detto che il bambino va dal logopedista, il che fa pensare a un altro ordine di problemi di cui non ci hanno nemmeno parlato.
Ecco, io penso che in Italia non sia possibile prendere un bambino con una cartella clinica palesemente incompleta, quando non volutamente falsata. Certo, alcune cose come il buco nel cuore si possono scoprire solo ad un certo punto dello sviluppo, e questo vale tanto per un figlio naturale quanto per uno adottato. Ma cazzo, prevalenza di uso di un arto e emiplegia sono due cose diverse. Io non sono scema e so che intorno a una cisti cerebrale può venire, per mille motivi, un’infiammazione, che probabilmente darebbe gli stessi sintomi di un tumore al cervello. E se è già stato detto che questa cisti non si può operare, vorrebbe dire cose graziose come terapia antiepilettica, valvola di drenaggio nel cranio, eventuali altri danni temporanei o permanenti, magari di tipo cognitivo, alterazioni della personalità o della capacità di parlare, scrivere, etc.

E che cazzo, non puoi scrivere sulla scheda che un bambino così è sano. O forse puoi farlo, ma proprio solo in un Paese dove ad un bambino che è evidentemente emiplegico non viene fatta nemmeno
una TAC.

Oggi credo di aver vinto la battaglia (ma, temo, non la guerra) facendo presente all’Uomo due punti:
1) LUI non ce la farebbe a reggere l’ansia di una patologia grave, di un ricovero con intervento, di una serie di esami medici. E quindi io dovrei reggere per due.
2) IO ho abitato tutta la vita in mezzo ai medici e so benissimo che io NON sono tagliata per un certo tipo di cose. Per carità, quando c’è un’emergenza si fa fronte come si può, ma qualcuno di voi sa come posso sconvolgermi al pensiero che una persona della quale io mi occupo personalmente, come mio marito, entri in un pronto soccorso o in un reparto ospedaliero anche solo per una stronzata (si veda l‘onfalite dell‘Uomo l‘anno scorso).

Mi sono messa mentalmente nella situazione della coppia di stamattina e ho capito che io sarei stata sommersa dall’ansia, ma avrei dovuto far fronte alla paura del bambino, alla mia e a quella di mio marito, praticamente da sola. E credo altresì che, appena avessi avuto un momento libero, sarei andata fino in Perù a prendere a calci chi aveva compilato la scheda e chi si era occupato del bambino fino al nostro arrivo.

MA STIAMO SCHERZANDO?

Certo, la presentazione dei bambini a rischio di mezzo mondo che stamattina ci hanno propinato, con tanto di filmati dalle tematiche rasserenanti (bambini di tre anni che fabbricano munizioni, ragazzini di dieci con i kalashnikov in mano, piccoli vietnamiti in un orfanotrofio spoglio, ballerini di strada e mendicanti rom cinquenni, brasiliani scalzi e soli addormentati per terra, e chi più ne ha più ne metta) potrebbe indurmi a sentirmi una merda. Beh, io ho appena sentito la vera storia della famiglia di Giovane Lupo da una collega con cui non ne avevo mai parlato, e sapete cosa vi dico? Sono più che mai del parere che in Italia siamo pieni di bambini che andrebbero tolti alle famiglie naturali e dati a qualcuno in grado di amarli e proteggerli, senza stare a scomodare i kalashnikov, l’HIV, i meninos de rua e compagnia bella.
Cazzo, lavorate un anno con una baby prostituta ex tossicodipendente di quindici anni, o con la figlia di un alcolista manesco, o con un bambino che ha visto il padre ammazzare la madre: poi mi dite se, per fare una cosa buona, c’è bisogno di prendere l’aereo e andare a farsi coglionare da gente che si fa dare delle mazzette mica da ridere, ti ricatta a suon di documenti che non vanno bene e di permessi che devono essere oliati se no non arrivano, e per premio poi ti falsa le cartelle cliniche. Lo so, che non è colpa dei bambini. Ma mi pare di andare a alimentare un sistema di merda, oltre che di ficcare me e la mia famiglia in una situazione potenzialmente gravissima senza le dovute informazioni.

Direi che i dubbi che avevo con oggi hanno trovato sufficiente conferma.
Ora vediamo, quando si tratta di presentare la domanda, se bisogna discuterne ancora con l’Uomo e come.

E poi avremo tempo per pensare alle altre crocette.

Sulle quali, statene certi, le occasioni di nottata insonne non mancheranno. Anche perchè lo stesso Uomo che, due settimane fa, tirava a escludere categoricamente i bambini sopra i tre anni, stasera, alla domanda sul limite massimo d'età "crocettabile" ha dichiarato il numero quattordici. E lì io, solita pragmatica più realista del re, a fargli notare che un ragazzino di quattordici anni nel giro di sei mesi ti va alle superiori, gira da solo con le chiavi di casa etc. Che forse, ma solo forse, eh? è meglio fermarsi nei dintorni dei dodici, quando un ragazzino ti lascia ancora un paio d'anni per arrivare a certi traguardi (meditavo cupamente sulle mie ultime conversazioni in fatto di sessualità preadolescenziale con una mia alunna di terza, mentre gli dicevo ciò, ma anche sugli spacciatori di hashish appostati fuori dalle scuole, sul patentino per il ciclomotore, e cose del genere). Cioè, ma possibile che a parità di età e esperienza lui non si figuri che grana gigantesca è diventare da un giorno all'altro la famiglia di un bambino altrui? Lo devo anche prendere in un'età in cui, se non faccio in tempo a instaurare un po' di rapporto confidenziale e a dare due linee educative anche minime quello mi si droga o mi ingravida la fidanzatina? E chi siamo, i Fantastici Quattro, o solo due sfigati trentacinquenni senza figli?

Mah.
Stasera sono un po' ipercritica, mi rendo conto.
Ma mettetevi nei miei panni. Prima mi porta a vedere la casa della mia vita, poi ritiene che non sia il caso di comprarla. Prima mi dice che l'adozione è una roba complicata e che non se la sente di crocettare il sì per il rischio sanitario, e poi mi riempie la casa di adolescenti provenienti da varie parti del mondo con schede immaginarie che non corrispondono alle loro condizioni reali.

Sono alla seconda tazza di tisana allo zenzero e non c'è verso che io digerisca la cena di stasera, ahimè.

Appunti e osservazioni durante il corso

Questi i miei appunti durante il corso informativo sull'adozione, febbraio 2011:

1) Torino è insopprimibilmente BRUTTA. Non me ne ricordo mai perchè l'anno in cui ci lavoravo vedevo solo il centro, che è elegante, e perchè lavorare al liceo mi ha lasciato ricordi entusiasmanti. Stavolta eravamo al confine tra Moncalieri e Nichelino e, Gesù, non solo è BRUTTA, ma CONTINUANO a costruire roba BRUTTA.

2) Non, ripeto NON, andate mai a sentir parlare per tre ore un pediatra a proposito di adozioni internazionali se vi fanno senso le malattie, le malattie infettive, le malformazioni, le parassitosi e in generale l'idea di tenere la mano a un bambino mentre gli fanno degli esami medici.

3) Non IMMAGINATE neanche di potervi avvicinare all'IDEA dell'adozione internazionale se quel che vi preoccupa di più è avere un figlio con un ritardo mentale.

3) A questo mondo c'è tanta, tanta, tanta bella gente. Che pensa ai bisogni degli altri e si sbatte per trovare soluzioni, Il pediatra neonatologo che ci parlava. oltre a essere un padre adottivo, è stato per anni giudice del tribunale dei minori e insieme ad altri ha organizzato un protocollo sanitario per dare a tutti i bambini che arrivano dall'estero "accoglienza sanitaria", cioè non solo controlli, diagnosi e cure, ma un modo di esaminarli e curarli che non terrorizzi nè loro appena arrivati, nè le loro famiglie adottive.

4) Il Piemonte è all'avanguardia come legislazione sull'adozione e sull'accoglienza sanitaria. Bene.

5) Il corso è per una ventina di coppie. I gruppi di lavoro sono di sei o sette coppie, e in gruppo con noi ci sono quattro persone con le quali probabilmente dovremo dividere il percorso intero, compresi gli incontri di supporto e sostegno nelle varie fasi: due ragazzi di un paesino vicino a Asti, gli unici più giovani di noi, e una coppia più vecchia, che ha perso entrambi i figli in un incidente. A luglio scorso. A proposito di gente veramente forte.

6) Ho perfettamente ragione a non voler parlare granchè delle nostre scelte con parenti e amici.
Ieri sono entrata in quell'aula con alcuni pensieri ben determinati e ne sono uscita con altri.
Parlare dei bambini veri, che realmente arrivano alle famiglie adottive, modifica quel che uno pensa a freddo. La risposta interiore a freddo si sbriciola contro la realtà.
Questa storia dell'handicap, per esempio. Alla fine ci hanno chiesto se qualcuno di noi voleva prendere una scheda sanitaria di un bambino straniero realmente andato in adozione e provare a immaginare che domande avrebbe fatto al pediatra al posto dei genitori adottivi.
A me e all'Uomo è toccato un piccolo peruviano di sei anni, parzialmente sordo, con leggero ritardo nella crescita e soffio al cuore.
Il soffio al cuore ce l'ho anche io, da sempre, e me ne frego.
Il ritardo nella crescita si recupera.
Il fatto della sordità si rimedia, dice l'Uomo.
Sì, dico io, ma se sono sei anni che sta in un orfanotrofio di Lima, quanto ci fai che non è stato seguito e quindi parla anche poco e male.
Ci vengono in mente le soluzioni.
Logopedista.
Apparecchio acustico.
Una visione di me al tavolo di cucina che al pomeriggio aiuto pazientemente il bambino a migliorare nell'espressione linguistica, mezzo in spagnolo e mezzo in italiano.

Cioè, vediamo le possibili soluzioni insieme al problema, quando il problema è reale.

Poi ci piacciono un po' meno altri problemi di diversa soluzione. Per esempio io inorridisco all'idea del ritardo mentale. Mi spiace, non riesco a sopportarlo. L'Uomo, invece, si schifa del labbro leporino (e io: Scemo! Hai scartato la scheda con la foto del cinesino con la palatoschisi! guarda che quella si opera! Hai presente Joachim Phoenix?), delle malformazioni anche lievi e soprattutto, soprattuttissimo, arriva vicino a vomitare all'idea dei parassiti intestinali e cutanei e delle malattie infettive.

Io (che ho ben chiari gli aspetti di un'adozione che per ME sarebbero mostruosamente pesanti): "No, scusa, ma sai che comodo dire che il bambino ha la scabbia, così per le prime tre settimane non ti si fiondano in casa tutti i parenti?!?"
Ride, e conferma: "Perfetto. Diremo che ha la scabbia anche se non ce l'ha. Dovrebbe funzionare."

7) Entrando, alle due e mezza, avevo il petto schiacciato da un macigno e non vedevo l'ora di andar via. Dopo due ore di questi discorsi con l'Uomo, sorridevo. Io da sola no, ma con lui posso.

E sempre il primo febbraio 2011

...tutta emozionata, scrivevo:
 
Sapete cosa mi ha detto oggi l'Uomo, a conclusione di mille discorsi svisceranti su adozione nazionale/internazionale, di bambino piccolo/grande, di nonni consenzienti/recalcitranti, di congedi di maternità/paternità, etc etc?

Mi
ha
detto:
"Aspettiamo un bambino!"
 

Che casino

   Il primo febbraio 2011 scrivevo:
 
Colloquio terminato ore 16.

Un casino.

Intanto, non sapevo che ci avrebbero caldamente consigliato la doppia strategia adozione nazionale + internazionale.
Senza peraltro poterci consigliare un'associazione seria che si occupi di adozioni internazionali, perchè, testuali parole, "è un libero mercato". Orrore.

Poi non avevo chiare le tempistiche di quando finalmente ti danno un bambino nell'adozione nazionale: cioè, non il periodo di attesa dell'abbinamento minore / famiglia, ma il periodo di affidamento a rischio giuridico e quello di affidamento preadottivo. Traducendo, un totale complessivo di due anni e mezzo nei quali un parente fino al quarto grado del bambino può vincere un ricorso e RIPRENDERSELO. Cioè tu magari sei stato con un bambino dai suoi tre ai suoi cinque anni e TE LO LEVANO.
Se mi succedesse una cosa del genere sarebbe la volta che mi imbottisco di barbiturici e ci bevo dietro una confezione di WC Net disincrostante. Almeno, nell'affido lo sai prima, che il bambino non resterà per sempre.

Ma SOPRATTUTTO, non credevo che l'Uomo si sarebbe impallato con l'adozione internazionale.
Proprio no.

Così siamo tornati a casa e invece di leggerci le specifiche della richiesta di inclusione nelle liste nazionali ci siam messi a svarionare sul colore la lingua la provenienza e la distanza di tutti i bambini del pianeta, compresi quelli di Paesi nei quali io mi rifiuterei categoricamente di andare perchè lontanissimi, pericolosi o sospetti di svendere figli altrui, a cifre vergognose e magari falsificando gli esami del sangue.
Cioè, se anche uno avesse il coraggio, che non avremmo, sia ben chiaro, di dire prendo e accudisco un orfano sieropositivo, magari lo vorrebbe sapere prima, non scoprirlo in Italia a cose fatte.

A me tutto 'sto "libero mercato" dei bambini spaventa, e più si è lontani da qui e in preda ad amministrazioni sconosciute parlanti lingue impossibili, più mi pare pericoloso.

Poi, per carità, la bimba tibetana, i due fratellini polacchi, il bimbetto di Capo Verde che parla portoghese, la neonata congolese, il treenne peruviano, tutto quello che si vuole, sono pensieri magnifici. Anche portar via un bimbo dalla Russia di Putin, o due fratellini dal Kurdistan o dai territori palestinesi.
Pensandoci, anzi, la questione palestinese mi sta a cuore da anni e sarei ben contenta se potessi farci qualcosa nel mio piccolo.

Ma io sono molto ma molto ma molto più realista del re quando si tratta di viaggiare: sono troppe le cose che non me la sento di fare o di vedere. In India, per dire, ammesso che riuscissi mai ad arrivarci, avrei uno choc culturale irrimediabile: sono quei posti dove uno come me potrebbe vergognarsi di andar via con un singolo bambino e di portarselo al mare a Alassio o a sciare a Bardonecchia, quando è evidente che sarebbe meglio fermarsi lì, farsi mandare la propria rendita dalla banca italiana e aprire una scuola o un ambulatorio.

E l'Uomo, che invece sarebbe, a sentir lui, in giro per il mondo tutto l'anno, in realtà ha una visione fin troppo romantica del mondo, della propria reale capacità di adattamento a qualcosa che non sia un centro benessere a quattro stelle, di sua moglie che gira da un aeroporto all'altro (ahahahahah...) e non muore di inedia dopo un mese di digiuno di fronte alla cucina vietnamita o messicana, e anche del portare a casa un bambino di diversa origine etnica: per esempio, lui non valuta che potremmo giocarci il rischio che la Suocera Aggiunta chiamasse "quella deficiente" la colf filippina o spiattellasse tutto quel che pensa dei sudamericani e dei romeni. Cosa che normalmente fa.

Detto questo, i bambini adottabili in Italia spesso sono di etnia e ceppo razziale diverso dal nostro, e a noi va benone: se la Suocera Aggiunta o altre persone che conosco devono fare delle simpatiche generalizzazioni, si accomodino pure e troveranno pane per i loro denti.

Ma porca vacca mi pare troppo rischioso e complicato tutto l'iter internazionale, oltre al fatto che non mi ci vedo proprio a scarpinare per la Bolivia, e anche i miei amati altopiani tibetani preferisco di gran lunga vederli da qua in fotografia; senza contare che, dei due, il più a rischio di mal di montagna è senza dubbio l'Uomo, creatura per eccellenza legata per la sua sopravvivenza biologica agli 0 metri sul livello del mare.

Poi, seriamente: se devo prendere in considerazione un Paese straniero mi piacerebbe fosse un Paese dove ogni tanto posso tornare con il bambino, di cui possiamo imparare la storia, la lingua e qualche usanza, con cui possiamo mantenere un contatto, e non credo che lo Sri Lanka o la Georgia siano i più adatti in tal senso. Allora meglio l'Albania o la Romania, dove potremmo fare qualche viaggio: abbiamo tanti exalunni le cui famiglie ci aprirebbero casa se passassimo di là. Io so anche fare la baklavà, perchè ce lo ha insegnato a scuola un'alunna di due anni fa.

Mah.
Io...

Boh.

Nel complesso, sono preoccupata e nervosa.
Lato veramente positivo, il corso base di sensibilizzazione e informazione per l'adozione si svolge ogni due settimane in una città diversa del Piemonte, più o meno, e l'Uomo ha già telefonato per prenotarci per il 12 febbraio. Si vede che questa cosa lo prende sul serio.

Pensieri ed esperienze

Il 5 gennaio 2011 scrivevo:

Che poi, a voler ben vedere, no, non lo so, perchè parliamo di adottare.

Non c'entra con il fatto che figli in dieci anni non ne siano arrivati, perchè abbiamo parlato di adottare fin da pochi mesi dopo il matrimonio, quando addirittura non provavamo nemmeno ad avere figli nostri.
Semplicemente, ci siamo dichiarati disponibili, fin dall'inizio.

Non è una cosa necessariamente buona, nè necessariamente stupida.
E' stato parte del nostro progetto quando ci siamo sposati.

Io però ho sempre trovato che adottare fosse più egoistico che prendere un bambino in affido.
Prendere un bambino in affido vuol dire accettare che questo bambino non è tuo, che tu devi mantenere il suo rapporto con la sua famiglia anche se sai perfettamente che è una pessima famiglia, e che un giorno come è arrivato se ne può andare.

All'inizio, quando abbiamo fatto i colloqui per l'affido, ci hanno chiesto se avevamo delle perplessità o delle preferenze.
Io ho risposto per tutti e due, perchè ci avevamo pensato a casa:
"Ecco, noi non ce la sentiremmo di prendere un ragazzo troppo grande, di sedici anni, per esempio, che esce già da solo, di cui non conosciamo le compagnie e i giri di amici, perchè ci sembra di essere troppo giovani per essere considerati autorevoli da uno che ha la metà dei nostri anni, e ci pare una responsabilità enorme. E poi, questo lo dico soprattutto per me... mi dispiacerebbe se ci dessero un bambino molto piccolo, che poi magari ci levano per darlo in adozione, perchè se ha cinque, sei anni, magari glielo si può spiegare, si può telefonargli, restare in contatto, eccetera, mentre se è più piccolo... beh, vederlo andare via, che magari piange e non capisce, non credo che ce la farei."

E queste erano le nostre preoccupazioni. Sbriciolate istantaneamente dall'assistente sociale, che non le ha sottovalutate, ma ci ha dipinto scenari dove, dati i danni subiti nelle famiglie di origine dai protagonisti, si chiariva che avevamo ben altro di cui preoccuparci.

Tra tutti gli esempi che ci ha fatto, uno ci aveva impressionato terribilmente. Si parlava di una bambina che non accettava di essere lavata e aveva crisi di panico orrende all'idea dell'acqua. Perchè a casa sua, quando ritenevano di doverla punire, lo facevano puntandole addosso la manichetta dell'acqua fredda.
E la famiglia affidataria che se la trovava in casa stava facendo un percorso incredibile, per convincerla a lasciarsi almeno passare il corpo con una spugna bagnata.
Abbiamo passato il resto del pomeriggio a cercare di figurarci quale BESTIA può terrorizzare una bambina di quattro anni infradiciandola per punizione. Non è un pensiero tollerabile.

Ma rendeva l'idea. Come ho detto, il bambino che ci avrebbero dato se noi avessimo detto di sì aveva undici anni. E, da una frase sfuggita a una delle assistenti, credo di sapere addirittura chi fosse. Un alunno dell'Inflessibile, e anche mio, nel senso che quando è arrivato a Scuolina Rosa gli ho fatto diverse ore di sostegno. Un ragazzino con una disabilità lieve e, anni fa, gravi problemi a livello caratteriale, oggi molto migliorati. Una persona che tuttora vive in comunità e che, in fatto di danni, ha finito di subire nei primi due anni di comunità quelli che non aveva ancora subito a casa. E uno dei più affettuosi, profondi, dolci ragazzi che io abbia mai visto. Siamo tuttora in ottimi rapporti, a parte il fatto che ora è più grosso e alto dell'Uomo e mi incrina due costole ogni volta che ci incontriamo, abbracciandomi con slancio mastodontico.
Non so se avevo capito giusto. Io a questo bambino ho voluto bene dal primo minuto in cui l'ho visto. Anche se una volta, quando ancora non dosava per niente le sue già immense forze, mi ha quasi estratto un braccio dalla cuffia rotatoria della spalla, e mi ricordo il dolore come se fosse appena successo.
Abbiamo condiviso esercizi di scrittura, poesie, passeggiate nell'orto botanico, sguardi d'intesa, scherzi e battute.
Poi ho sospettato che fosse lui il mio "figlio in affido" e il mio affetto per lui ha sconfinato. Non è facile dire cosa provo quando lo vedo grande, migliorato, e soprattutto felice di incontrarmi.

Non so. Io dell'affido mi ero fatta un'idea, probabilmente sbagliata, di certo incompleta, che coincideva, in buona parte, con la facilità con cui ero entrata in rapporto con lui e con altri ragazzini della comunità che sono passati da scuola.
E in un certo senso è vincere facile. Sono persone che hanno alle spalle cose tali che un cristo qualunque che si occupi di loro, gli dia da mangiare e non li maltratti fa già miracoli.

Diversa è la mia idea di adozione.
Ti adotto significa "tu non hai una famiglia, io ti dò la mia. Ma ti cambio nome e cognome, tu diventi mio, e mi devi trattare come un genitore. Solo che i tuoi genitori sono da un'altra parte. E anche se tu un giorno li ritroverai (a un nostro amico è successo, e ha scoperto anche di avere dei fratelli) sarai parte della mia famiglia, non della loro."

A me, sbaglierò, è sempre sembrata più che altro l'ultima ratio di una coppia che non può avere figli suoi.
Anche se la frase che ci dicevamo noi all'inizio era "due nostri e uno adottato". Come a dire che avremmo voluto fare Spazio abbastanza...

Però non lo so.
A parte tutto, mi fa impressione la faccenda del nome.
Spiego. Da un paio d'anni mia madre lavora come volontaria in una casa protetta per bimbi in attesa di una decisione del tribunale, che solitamente vanno poi in adozione. Sono bimbi più o meno sotto i sedici o diciotto mesi, quando arrivano hanno pochi giorni di vita. Ci sono volontarie che turnano di giorno per dare una mano alle suore, che già si sparano le notti con magari quattro poppanti, e al personale fisso, che si occupa anche della casa. Li accompagnano anche alle visite pediatriche e ricevono le visite di genitori, nonni o zii biologici e di coppie designate per l'adozione.

Mi ha letteralmente scioccato scoprire che i nomi che vengono dati a questi bambini in comunità molte volte non sono i loro nomi veri, e ancora di più che le famiglie che adottano possono scegliere un altro nome ancora.
Perchè a me sembra che, a parte tutto, quando una donna (o una ragazzina, come capita spesso in quel contesto), comunque sia conciata (paziente psichiatrica, spesso, o prostituta o drogata), invece di abortire ti ha tenuto, ha fatto lo sforzo di portare a termine la gravidanza e di partorirti, e poi ti ha dato un nome, cazzo, QUELLO è il tuo nome, magari è la sola cosa che ti legherà alla tua vera origine per tutta la vita. Capisco che sia necessario un cognome nuovo. Capisco che i bambini siano troppo piccoli per farsene un problema, ma per esempio la prima bimba che è stata ospitata nella struttura quando aveva appena aperto, Maria, che non si chiamava veramente Maria, aveva un anno quando è diventata Sofia e se n'è andata con la sua famiglia d'adozione in Toscana. E io mi domando ancora: la quindicenne, presumibilmente ecuadoriana a giudicare dai tratti della bimba, che l'aveva messa al mondo, come l'avrà chiamata realmente, con quale nome si ricorderà di lei?

Capito cosa intendo?

Insomma, ho dei dubbi. Su cosa voglia dire veramente questo gesto di prendersi in casa qualcuno che è nato altrove, e mica solo su ciò.

Fiocco bianco

Il dodici dicembre del 2010 scrivevo:

C'è spazio abbastanza per chi vuole entrare.

E non è una cosa facile da dire, per una come me, che ama le porte chiuse e le finestre aperte, e negli ambienti affollati sta a disagio.

Ma ho capito di avere le spalle larghe. Nel mio cuore c'è sempre stato tanto spazio, anche se non lo sapevo usare, anche se me lo riempivano di cianfrusaglie, anche se me lo chiudevano dietro a pesanti cancelli.

Le spalle, quelle me le sono fatte con gli anni.

Ora è il momento di aprire.

Paura? Sì, un po'.

Ma è ora.