giovedì 26 dicembre 2013

Gran bel Natale

Insomma è la mattina di Natale e io sono in cucina a farmi un caffè, sola, alle sei meno dieci. Peraltro dopo essermi svegliata un’ora e mezza fa.

Di per sé, che sia Natale non potrebbe tangermi meno. Ma è che oggi dobbiamo sentire S.

Non è un pensiero rilassante.

Che si può dire a una ragazzina che, dopo un bel weekend passato con parenti appena conosciuti ma adorabili, quali la Cugina Bella e il Giornalista, con ragazzi simpatici quali Bistecca di Drago, Giovane Lupo e Elfo Gnocchissimo, con il Bimbominkia di propria (pessima) scelta, con due genitori molto indaffarati ma anche parecchio sorridenti, di colpo vede i suddetti genitori in difficoltà e li azzanna alla gola?

Che si dice a una ragazzina che ha visto di colpo girare il vento: la scarsa ma stabile salute di mio padre che improvvisamente cede, la mia macchina che mi molla per strada praticamente nello stesso minuto, l’Uomo travolto dall’ultima settimana di festival; e ne ha approfittato subito per impuntarsi e chiedere più cose, più permessi, più pazienza, più disponibilità, più attenzione di quanto normalmente già le viene dato?

Una ragazzina che dopo due giorni di richieste di stare un po’ buona, aspettare il suo turno e, magari, dare una mano, pianta su un casino per un appuntamento con il Bimbominkia (che comunque non le si faceva saltare, eh! Mai sia) e per avere garanzie su quel che potrà fare con suddetto Bimbominkia il giovedì successivo, mentre tu non sai se giovedì tuo padre sarà ancora vivo, se avrai fatto in tempo a vederlo, come farai a gestire questa emergenza e tutto il resto delle cose da fare senza la tua macchina, come gestirai lei e tutto quel che normalmente gestisci senza l’Uomo che sarà impegnato fuori ogni giorno?

Cosa si dice a una ragazzina che, sgridata per il suo comportamento inopportuno e il suo atteggiamento egoista, esce di casa per il suddetto appuntamento e non torna né si fa rintracciare fino alla mattina successiva?

Una ragazzina talmente incosciente da passare la notte con il Bimbominkia al freddo (-7°C) in un mal frequentato parco torinese, e poi talmente vigliacca da non affrontare nessuno al telefono e chiedere di essere ripresa in stazione dall’educatrice della comunità?

Una ragazzina che al ritorno si sente dire che andrà in comunità per decisione dei servizi sociali, e allora all’Uomo fa la scena dello strazio (non mandarmi via non mandarmi via), mentre quando passa da casa con l’educatrice a prendere i vestiti a me riserva solo un trattamento altezzoso, e sostiene ancora di non aver fatto niente di grave?

Detta ragazzina avrà senz’altro molte scusanti date dalla sua storia personale, noi avremo sbagliato alcune cose, ma rimane il fatto che inserirla nella nostra famiglia, ora lo vediamo, è un problema grosso, ma grosso. Molto più grosso di quanto ci eravamo immaginati in questi mesi.

Forse servirà a qualcosa il fatto che la mattina, esausta, stravolta, completamente fuori di me, io abbia strillato in faccia a chiunque fosse disponibile, educatrice, assistenti sociali, psicologa etc. che siamo stati seguiti pochissimo, che non si fa così, che non esiste che mi rimproverino (solo a me, tra l’altro: e l’Uomo dov’era?) di essere orgogliosa e non chiedere una mano, quando da luglio gli assistenti sociali sono riusciti a tirare dicembre senza a) vederci b) sentirci c) fornirci uno straccio di pezzo di carta d) verificare con un incontro d’équipe degno di questo nome come stessero andando le cose a casa nostra, e gli educatori hanno eluso le richieste di vedersi e capirsi un attimo adducendo la scusa a) adesso siamo pieni di problemi e la scusa b) tagliamo il cordone ombelicale. L’unica è stata la psicologa, che c’era la maggior parte delle volte, per S. e per noi, ma che vede sempre le cose in psicologovisione, cioè tanto trauma tanti problemi tanti agiti che denunciano sofferenza etc. E non dico che non abbia ragione, dico solo che nella quotidianità le regole andavano date, le richieste andavano fatte, e la Princi, che finchè va tutto bene è un amore, alla prima esigenza non sua, che non è quest’ultima emergenza di dicembre, ma è partita in novembre con la richiesta di capire che noi non siamo sempre in ferie ma, a tratti, abbiamo periodi di lavoro molto pesanti, ha fatto un gesto talmente sproporzionato e talmente grave da farci rimettere in discussione qualsiasi cosa abbiamo mai avuto in progetto di fare con lei.

Se dicessi che sono solo arrabbiata (no: furiosa) con lei per quel che ha combinato, mentirei. Sto male, e mi manca, e mi sono fatta miliardi di domande e ho paura per lei e per noi, e col senno di poi vorrei aver avuto un cazzo di foglio del tribunale, averla dovuta riprendere in stazione perché non c’era nessun altro che poteva riprenderla, essermela portata a casa e aver fatto, con l’Uomo, quel che NOI ritenevamo opportuno fare con una ragazzina che creava tale genere di casini. Sia in termini di curarla dalla botta di ipotermia quasi mortale che s‘è procurata, sia in termini di metterla in uno di quei castighi che durano mesi e che riguardano contemporaneamente telefono, uscite, fidanzatino, soldi per le piccole spese e regali. Nel senso che ognuna di queste cose avrebbe dovuto riguadagnarsela man mano, dopo aver dimostrato di avere capito, e bene, cosa può e cosa non può permettersi di fare a casa nostra una ragazzina, per quanto difficile e traumatizzata da un brutto passato.

Al tempo stesso, penso, e con l’Uomo ce lo siamo detti molte volte, che sia un bene che la comunità se la riprenda per un po’, che sia un bene che gli assistenti sociali e la psicologa rivedano tutta la situazione nel complesso, che sia un bene che noi due, e anche lei, siamo consapevoli che potremmo anche avere fallito definitivamente nel mettere in pratica il nostro progetto di famiglia.

Ma rimane il fatto che siamo sotto uno choc tale che non so se, come, e quando, potremo mai riprendere questo rapporto con S.

Gli assistenti sociali e gli educatori si sono fatti un bel mea culpa e si sono detti che ora fermiamo tutto; e la psicologa, molto umana, dixit: non ci si può nemmeno telefonare, tranne che a Natale… minchia: a Natale? Che senso ha, chiamarla a Natale, se non posso sentirla ogni giorno e sapere come sta, cosa fa, se mangia, se ci pensa, se piange? Peraltro fino a metà settimana scorsa, quando è stata decretata questa simpatica punizione, l’ho sentita, ed è stato come essere presi a colpi d’ascia.

E l’Uomo?

Ecco, l’Uomo è il peggiore dei miei problemi, in questo momento.

Sta di merda. Ma soprattutto, sta diverso da me. Traduco. Io i primi giorni ero furibonda, ai limiti del pericoloso. Peraltro stavo ore al telefono con tutti i soggetti coinvolti nella vicenda affidamento e chiamavo la Princi una volta al giorno, per dire poche, inutili e sofferte parole. Lui era straziato. Peraltro non chiamava nessuno, forse perché non se la sentiva, forse perché non era mai da solo.

Poi la psicologa ha detto che non posso sentire la Princi nemmeno per telefono, e la cosa s’è ribaltata: io ho iniziato a piangere come una fontana e non ho smesso per giorni, lui si è inferocito e ha dichiarato che non vuole neanche sentirla nominare, quella piccola stronza.

Poi siamo venuti a Genova. Ora io vivo tra casa mia, dove cerco di eludere gli auguri e gli inviti natalizi, e la casa di riposo dove mio padre scende, piano piano, verso il distacco definitivo, svegliandosi ogni giorno per meno minuti, mangiando ogni giorno meno cucchiaini di pappe frullate, usando ogni giorno meno farmaci perché, tanto, non fanno più effetto.

E oltretutto c’è la tempesta di Natale e piove e io voglio solo dormire, ma non ci riesco, di giorno sono triste, di notte incazzata. L’Uomo ha finito il festival ed è tornato così stanco e stressato che gli gira la testa ogni poco, e quindi tra le rare cose utili che realmente faccio cerco di nutrirlo e di stare accoccolata con lui sul divano davanti a film degli anni Ottanta, ma ho paura, perché non vuole, o non può, parlare con me della Princi e del nostro futuro, e io non so cosa pensa e ci sto di merda.

Direi che con questo 2013 è legittimo richiedere di essere definitivamente esonerati dal festeggiare il Natale. Dall’anno prossimo dirò a tutti che, essendo ormai buddhista da mo’, è del tutto inutile che io partecipi a un festa cristiana. E siccome l’anno prossimo sono i 40 dell’Uomo, forse daremo inizio anche a una tradizione nuova per quanto riguarda il suo compleanno. Perché non crediate che, pur sepolta nel mio duplice dolore, io non abbia notato che stasera, con la scusa che “in trentanove anni sarebbe la prima volta che non festeggiamo insieme il tuo compleanno”, mia suocera comunque lo fa salire in auto e andare fino a Arenzano, con la tempesta, e mollandomi da sola a casa, grazie, la sera di Natale, quello stesso Natale che a tutti sembra così importante festeggiare in famiglia.

Diciamo che il mio proposito per l’anno del Signore 2014 si potrebbe anche un attimo individuare nella frase “direi che voi non vi fate tanti problemi a calpestare il prossimo quando volete qualcosa, no? Beh, nemmeno io” e questo si applicherà con particolare ferocia alle donne della mia famiglia: e io che credevo fosse solo mia madre, quella che mi prevaricava. Qui ci si fa pisciare in testa dalle sedicenni maltrattate e anche dalle suocere notoriamente vittimizzate da tutti. E anche basta, grazie, che se un giorno vi sfanculassi io davvero e smettessi di soffrire come un cane per voi, vorrei vedere chi ci mettereste al mio posto.

 

 

 

 

2 commenti:

  1. Non posso neanche immaginare quanto difficile sia questo momento: stai vicino all'Uomo più che puoi, prenditi cura di te stessa, sei l'unica risorsa che ha, coltiva la pazienza e punta i piedi quando necessario(ti dico un segreto...stiamo invecchiando anche noi e quindi un po' di diritti di anzianità ci spettano). Comunque, ovunque, quando vuoi a Genova un amica in più c'è. Un bacio piccolo Symo

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  2. Leggevo con apprensione l'entusiasmo e l'amore e l'impegno profusi in questa avventura. Stasera ho letto le parole di una mamma. E ho condiviso il tuo dolore e la tua fatica, anche se sono tue soltanto. E ho sentito tutta l'ingiustizia di non poter risolvere a modo vostro la fatica, il dolore, la delusione. Pero' sei diventata mamma, anche nel dolore, come altre lo sono diventate nel dolore del parto. Forse e' questo il tuo parto. Vi auguro di venire al mondo tutti e tre insieme.

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