Ci
sono situazioni, quando sono sola, che sono deputate a rimuginare
sulle cose dolorose.
Per
esempio, i viaggi in macchina sono il momento giusto per elaborare
lutti, separazioni, amicizie e amori che non sono più, amori che non
furono mai, liti con il consorte, rabbie varie. Possono servire allo
stesso scopo anche cucinare, farsi la doccia, pulire il terrazzo,
portare il cane. Cioè, non che io pensi sempre e solo a cose buie o
mediti vendetta ogni santo giorno, ma per dire, se ci sono questioni
difficili, ognuna si trova il suo momento. Portare il cane e
riflettere su eventuali falle del rapporto coniugale. Farsi la doccia
e sciogliere nel sapone lo sporco e anche il lutto.
Lavare
i piatti, da sempre, è inesorabilmente associato alle grane con la
famiglia d'origine. Credo che questo spieghi perchè assolutamente mi
rifiuto di farlo, a meno dei seguenti casi: 1) totale assenza del
marito per più di un giorno 2) malattia del marito per più di un
giorno 3) prolungato soggiorno in casa di vacanza lontano dalla
famiglia medesima.
Di
recente i piatti li ho lavati un po' più spesso, non fosse altro
perchè siamo diventati tre, a volte mangiamo in orari diversi l'uno
dall'altro, e sporchiamo molto di più.
E
ogni santa volta mi sono stupita di come mi tornasse in mente,
proprio appena insaponato il primo bicchiere, tutto un ordine di
problemi e di questioni che ormai, nelle mie giornate, non ha
assolutamente più spazio.
Dire,
adesso, che ho vissuto schiava per anni, sembra come raccontare la
storia di un'altra donna. Schiava in presenza, schiava a distanza,
schiava quando non riuscivo a dormire o a godermi una domenica a
casa, schiava quando passavo tutte le ore libere in autostrada,
schiava ogni volta che ho mangiato una brioche stantia o un
rettangolo di focaccia al posto del pranzo o della cena, schiava ogni
volta che ho fatto benzina, schiava delle decisioni prese senza voler
sentire pareri, schiava dei ricatti psicologici, schiava dei bisogni
reali, schiava delle molte e molte emergenze. Schiava di un sistema
ben oliato e organizzato, che da febbraio scorso è esploso. Perchè
io mi sono sottratta. E pensare che, a rigor di termini, io mi sarei
potuta sottrarre in tanti altri momenti: quando sono andata a stare
da sola, quando sono andata a stare con l'Uomo, quando ho cambiato
città, quando mi sono sposata, quando l'Uomo ha iniziato a fare due
mestieri. Quando ho capito di dovermela cavare da me se avevo un
problema, perchè il rapporto ormai aveva cambiato segno, non sarebbe
più stato dare e prendere, ma solo dare. O decidere di non dare
più. Che è quel che ho fatto a febbraio.
Adesso
ci vogliono quelle rare volte in cui insapono bicchieri per pensare a
tutto questo e domandarmi se è successo davvero: eppure ne ho ancora
intorno i segni. Sul contachilometri della macchina. Nella tiroide
danneggiata. Nelle centinaia di euro spese in colloqui
psicoterapeutici. Nel rapporto ancora difficile e spesso lacunoso con
l'Uomo, che oggi, passate le troppe emergenze, mi rinfaccia tutto
quel che prima, con parenti in punto di morte, gente da accudire in
ospedale, devastazioni varie, non poteva farmi notare. Ora non me ne
passa una, esagera, lo sappiamo bene entrambi, ma tant'è.
Certo,
ora sono state stabilite con chiarezza distanze, posizioni, priorità.
O almeno, io ce le ho chiare e sono quelle di una donna adulta che
non può continuamente voltarsi indietro, perchè la sua presenza, la
sua lucidità e tutte le sue migliori risorse servono, qui e ora, per
preparare i prossimi passi in avanti: quelli della Princi, come
figlia, come studentessa, lavoratrice, donna; e i nostri, come
famiglia, come coppia, come genitori.
Non voltarsi, come tutte le scelte, ha un prezzo. Ed è a quel prezzo che penso sciacquando pentole. Ma è pazzesco come il detersivo sulle mani, la spugnetta, le bolle, il rumore dell'acqua, tutto concordemente gridi, canti, armonizzi in una sinfonia lo stesso concetto: che potrei essere con le mani immerse nel sapone e il suono delle stoviglie da un'altra parte del pianeta, per esempio in Germania dove mi potrei essere trasferita per lavoro, in Spagna dove potrei essermi trasferita per amore, in Nepal ove potrei essermi trasferita per motivi religiosi, in Mali dove potrei essermi trasferita per andare a lavorare in missione, in Gran Bretagna dove potrei essermi trasferita perchè avevo trovato lavoro per caso alla fine di una vacanza. E in tutti questi casi sarebbe mio pieno, riconoscibile diritto aver messo tra me e tutto quel che rappresenta il passato tantissimi chilometri, oceani, aeroporti, lingue e mondi, e continuare il mio percorso umano là dove mi trovo.
Che
i chilometri tra me e la vita che comunque avrei dovuto smettere di
fare siano meno di centoventi non dovrebbe rendermi meno libera di
lasciare il passato indietro e smettere di voltarmi. Che mia figlia
abbia la pelle diversa dalla mia e sia arrivata in questa casa con le
sue gambe, con le sigarette in tasca e iscritta a una scuola
superiore, nemmeno. Lei è già stata una figlia, sì, ma non in
questa famiglia, e noi siamo comunque appena passati al ruolo di
genitori, tanto quanto lo saremmo se fosse uscita dal mio corpo
cinque mesi fa.
Mia
madre vuol festeggiare il Natale, e quest'anno anche io ho degli
ottimi motivi, non solo legati all'arrivo della Princi, per volerlo
fare. Quindi lo festeggeremo, di comune accordo. Solo che saremo in
due pieghe spaziotemporali distinte. Io qui, adesso. Lei allora. O,
forse, lei avanti. In un futuro che finalmente riguarda solo lei. E
che io, fin da tempi assolutamente non sospetti, le avrei augurato
meno solitario. Ma si vede che anche lei doveva partire per qualche
suo Nepal, attraversare qualche suo oceano, e non voltarsi.
Se non fosse per la Princi, lo troverei veramente molto giusto.
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