Ricostruzione, per quanto possibile minuziosa, degli eventi intercorsi nelle ultime settimane, dal punto di vista di Castagna
Avvertenza: qui dentro ci sono i fatti, non i sentimenti. L’evoluzione avvenuta in me, nell’Uomo e nella Princi in queste settimane non è spiegabile in questa sede. E comunque è ancora in corso di svolgimento.
Dopo una giornata infinita e dolorosa, la sera dell’otto gennaio sono finalmente nel mio pied-à-terre di Genova, sola, e ho appena fatto un certo numero di telefonate personali, che mi hanno dato un minimo di energia, nonostante tutto.
Mi faccio forza e chiamo anche la Princi, che non sento da settimane salvo la telefonata tristissima di Natale e un sms di Capodanno (cui lei non ha risposto). Siamo autorizzati a sentirla, e lei a chiamarci, già da cinque giorni, ma non ce la siamo sentita, nessuno di noi. Le ho mandato forse uno o due messaggi, piuttosto cupi a dire il vero, facendomi un brutto autogol perché lei non ha mai risposto e io ho passato la notte a controllare il telefono.
Comunque, non ci sono santi, mio padre è morto e io glielo devo dire, di persona. Telefono. Lei lascia squillare senza rispondere. Ovviamente dopo non richiama.
Il giorno dopo arriva un sms dal Bimbominkia. Ti faccio le condoglianze per tuo papà, ti abbraccio, cuoricino. Io quasi svengo, per due ottimi motivi: il Bimbominkia sa che a casa nostra non lo vediamo niente bene, ma scrive lo stesso. E se lo sa lui, che mio padre è mancato, vuol dire che gliel’ha detto lei. Ergo, lei l’ha saputo da Santa Maria degli Orfani e non mi ha scritto neanche crepa.
Ringrazio di cuore il Bimbominkia, mentre il mio cervello elabora queste informazioni. Al che, il temerario quindicenne attacca a messaggiarmi. Che lei ci vuole bene e le manchiamo tanto ma è arrabbiata e confusa, che lei non ce la fa a fare il primo passo perché è orgogliosa, che la comunità non le fa bene e che lui vorrebbe tanto che lei stesse con noi. E non dirle che ti ho scritto per favore eh.
Risultato. Io chiamo il Bimbominkia e stiamo 40 minuti al telefono. A ricostruire che cazzo hanno combinato la notte del 16 dicembre, che passa per la testa alla Princi, che succede a noi che da “genitori affidatari” (nomignolo di fantasia, visto che i documenti, in Italia, si fanno sempre con calma) all’improvviso siamo diventati fin troppo realisticamente il signore e la signora Nessuno, e dobbiamo obbedire anche all’usciere dell’ASL e al passacarte del tribunale per ciò che riguarda nostra figlia.
Finiamo per salutarci con rispetto e gratitudine, e io, mettendo giù, resto sola con il pensiero che persino l’aborrito Bimbominkia ha più palle della Princi, che è arrabbiata (lei) e che mi lascia senza neanche un sms quando io perdo papà… alla faccia dell’arrabbiato…
Ma appena chiudo la telefonata, sotto trovo un messaggio. E’ la Princi che mi fa le condoglianze e mi dice che mi è vicina e mi vuole bene. Scrive da un telefono non suo. Io guardo l’ora, sta per entrare a scuola perché ha il pomeriggio, e le scrivo grazie, ti chiamo alla fine della scuola dopo il rosario di mio padre.
Cosa che poi faccio, corroborata da un non sono a scuola perché non sto bene (prova finale che il Bimbominkia mi ha davvero contattato di testa sua, e non era con lei che lo teleguidava per farci sapere le cose per interposta persona), chiama quando vuoi. Allora sotto gli alberi del parcheggio della casa di riposo la chiamo, rompiamo finalmente il ghiaccio, le racconto delle ultime brutte giornate, della De che è stata male, lei mi racconta dello stage, della comunità, della sua salute, chiude con ti voglio bene.
Passa una settimana e comunque lei ai messaggi, a questo punto quotidiani, che le mando, non risponde più. Finchè io le scrivo che dobbiamo sbloccare la cosa, che non possiamo rimanere così. Silenzio. Allora arrivo a scriverle: chiederò agli assistenti sociali di vederti. Ma tu vuoi vedere me?
Risposta: certo che voglio vederti.
Seguono due o tre giorni in cui:
- l’assistente sociale mi nega il permesso di vederla finchè non ho parlato con la psicologa
- mio marito mi dice che lui non vuole essere coinvolto
- la Princi prende coraggio e prova lei stessa a fissare un appuntamento
- io evito consapevolmente di parlare dell’Uomo e di parlare al plurale
- io evito consapevolmente di chiamare Santa Maria degli Orfani
- io cammino a un metro e mezzo da terra al solo pensiero di vederla
- io mi torturo perché temo che l’Uomo non voglia più saperne di lei e che io resti come già molte altre volte presa in mezzo a decisioni altrui sulla mia possibilità di avere dei figli
- io cerco di mantenere la calma, di non pressare l’Uomo che è veramente provato, e però di difendere i miei spazi, dicendo che se necessario trasformeremo il percorso da più o meno adottivo a solo affidatario e anche al singolare, ma che io non voglio lasciar perdere, almeno per parte mia.
Tutto questo, e MOLTO altro, viene raccontato da me alla psicologa del tribunale dei minori che mi tiene DUE ORE E MEZZO giovedì pomeriggio e, sostanzialmente, mi fa sentire capita, confermata nelle mie idee e scelte, e appoggiata. Mi si dice anche qualcosina del lavoro fatto nel frattempo con la Princi, ed è abbastanza rassicurante.
Poi ci torniamo insieme io e l’Uomo, il venerdì e sono ALTRE due ore e mezzo di colloquio, in cui si nota che per destrutturare le mie difese ci vogliono 30 minuti, per aprire una breccia nella maschera di sicura freddezza dell’Uomo ce ne vogliono 130. Praticamente solo nell’ultimissima parte del colloquio assisto affascinata al pieno trionfo della psicologa, che ha impacchettato l’Uomo in una ragnatela con le sue stesse parole e ora, con tutta serenità, gli pratica un’incisione da cui inizia a uscire la verità.
L’Uomo esce dal colloquio destrutturato alla grande, ai punti che non riesce neanche a formulare una frase intera su dove ha parcheggiato la macchina. Ma dai suoi occhi si vede che sta meglio.
Alla sera mi regalo una telefonata con la Princi. E finalmente lei trova il coraggio di mandare un messaggio affettuoso all’Uomo, come stai mi manchi ti vorrei abbracciare, e l’Uomo, udite udite, le risponde la verità, sono tanto stanco è tutto difficile mi fido della psicologa.
Mettiamola così. E’ un ginepraio di casini, ma almeno la psicologa c’è capitata davvero brava.
E forse anche noi siamo bravi, tutti e tre, forse avremo prima o poi un piccolo riconoscimento per essere sopravvissuti, tutti e tre, a questo mese.
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