mercoledì 6 agosto 2014

Mia madre si è sbagliata

Oggi alle cinque di pomeriggio mi sono rimessa in pigiama, perchè ne avevo fatte più che Carlo in Francia, compreso pagare 8800 euro tra bollette, multe e amministrazioni arretrate, e volevo un momento di pausa, con l'Uomo tornato finalmente da Genova e la Princi e Deliziosa, la sua amica che è ospite da noi, fuori con gli amici, giù al centro sportivo (collezioniamo multiple gite in farmacia per piccoli incidenti, il dito ammaccato da una schiacciata a beach volley, una pallonata in faccia a calcio, ma siamo passati da "oddio il dito sarà rotto? Ahia papàààà andiamo al pronto soccorso ho male ahia" a "aspetta me la faccio da sola la fasciatura, ho visto la volta scorsa come si fa, il Voltaren ce l'ho già messo").

Ho aperto il romanzo che stamattina mi ha dato mia madre, di Valeria Parrella, e sono precipitata nel terrore. Perchè è la storia di una madre che ha paura. E io in fondo,come madre, sono costruita interamente sulla paura.
La paura che mi portassero via la Princi. La paura di non saperla proteggere. La paura di non essere sulla stessa sintonia dell'Uomo quando interveniamo nella sua educazione.
La paura di chiederle troppo.
La paura di vederle imparare troppo poco.
La paura della droga. La paura della droga è seconda solo alla paura di una gravidanza precoce. La droga, le pasticche, gli spinelli, mi gettano nel terrore. Istintivamente la annuso e le guardo il colore della sclera ogni volta che la vedo rientrare in casa. E' pulita. Ma cosa faremmo se un giorno non lo fosse?

Poi in questi giorni sono successe alcune cose che mi hanno fatto riflettere.

Il primo luglio raggiungo l'Uomo, i suoi colleghi, i suoi alunni e la Princi alla festa di fine anno. Che lui organizza al mare, in un baracchino paradisiaco che fa il fritto di pesce sulla terrazza di legno davanti alla spiaggia, e poi si mette la musica e i ragazzini ballano. Essendo in riviera di Ponente, vengono a cena anche i suoceri, quelli liguri. Il Suocero Aggiunto va via prima di cena, perchè ha il Gigantesco Mostro Bavoso da portare a casa, lei invece si trattiene un po' di più e quando arrivo è ancora lì. Io vengo dai casini inenarrabili che sappiamo e da una grande stanchezza lavorativa, è il primissimo giorno senza impegni scolastici, e mi godo tantissimo l'essere lì, con un vestitino leggero, le scarpe aperte con il tacco, l'aria di mare sulla pelle, il buio, la musica. Arrivo, e non mi pare vero di sedermi in pace davanti alla Biosuocera, con mio marito vicino, e per prima cosa chiedo se la Princi ha mangiato, come sta etc. Ho voglia di parlare di lei, è il primo giorno che è sul serio nostra figlia anche sui documenti, sono elettrizzata dal senso di euforia che mi dà questa consapevolezza. La Biosuocera mi dà corda fino a un certo punto. Poi quando si alza per andarsene la accompagno alla macchina, approfitto per accendermi una sigaretta, e appena siamo fuori portata d'orecchio rispetto agli altri lei attacca, a bruciapelo:"E certo però che è grande, insomma, questa è una cosa a termine, tra un anno ha diciotto anni, ragazzi! Sicuramente può andar bene per fare un'esperienza, però non è, voglio dire, è grande..."
Lo ripete tre volte, tra lo stabilimento balneare e la macchina. Io non replico.
Mia figlia. Mia figlia va bene per fare un'esperienza. E menomale che mia suocera è una donna dolce e accogliente, che ha lavorato nel sociale tutta la vita, una che mai più mi sarei aspettata facesse un discorso del genere, e così il fattore sorpresa mi ha impedito di reagire a caldo. Ma ho passato un mese intero a coltivare uno sbalordito senso di offesa, talmente profondo che rischia di durare nei secoli.

Poi qui in montagna ne succede un'altra, di segno opposto.

La Princi sta tornando da uno dei suoi giri in paese, arriva lungo la stradina e incrocia mia madre, in vacanza nel palazzo di fianco al nostro. E mia madre, che mi aveva salutato un minuto prima, le dice: "Oh ciao. Tua mamma è appena salita in casa".
La Princi arriva su e mi riferisce, esterrefatta, questa frase. Io sono seduta con in mano spazzola e phon, lei mi sta raccogliendo tra le dita le ciocche da pettinare, e la sensazione che mi fa è quella che la stanza si sia letteralmente ribaltata, come per un terremoto. Una cosa tipo quelle onde che ti incappellano all'improvviso mentre stai nuotando e ti fanno fare un giro completo su te stesso.
"Ha detto così?"
"Sì...non me lo aspettavo."
"Nemmeno io."
"Mi ha fatto un effetto!"
"Sapessi a me."

Poi dopo un paio di giorni siamo a passeggio, io e mia madre, e io (che ormai parlo solo della Princi, in effetti) le racconto:
"Sai, l'altro giorno la Princi era con le ragazze che ha conosciuto qua, e una le dice: ma non vi assomigliate, tu e tua mamma. E un'altra: ma io l'ho vista con suo papà, non somiglia nemmeno a lui! E la terza interviene: no aspettate, vi spiego una cosa... Che scena, ma che ridere quando me l'ha raccontato. Io le ho detto: e tu stavi zitta? M'ha risposto: non sapevo cosa dire!"
Mia madre ride. E poi mi fa: "L'altro giorno mi sono sbagliata, l'ho incontrata e le ho detto: tua madre è in casa..."
"Sì, me lo ha raccontato, le ha fatto effetto."
"No sai, poi ho pensato che magari... cioè, non sapevo se potevo."
"Sì, che potevi" ho risposto. E poi, un po' tra i denti, ma forse non ha sentito perchè parlava già d'altro: "Più che altro, non sapevamo se volevi."

E dopo molti altri giorni non mi levo dalla testa il senso di vertigine che mi ha dato.

Passo il tempo a dire all'Uomo, e mica solo a lui, che non possiamo aspettarci che gli altri capiscano. Che non possiamo pretendere che si immedesimino. Ma poi mi rendo conto che dentro di me ci sono baratri bui, dove precipitano con un tonfo sordo le parole cattive o sbadate delle persone, come quelle di mia suocera, e altri nei quali all'improvviso si accende una fosforescenza sotterranea, quando succede una cosa come questa, una frase di mia madre che le scappa detta contro la sua volontà e rivela un riconoscimento a cui io avevo già rinunciato in partenza.

Così il libro della Parrella mi fa venire l'agitazione. Perchè è la storia di un figlio diverso dagli altri, che rende la madre diversa dalle altre. E del mondo alla rovescia vissuto da chi ha un figlio con un handicap. Chi muore di terrore anche quando va tutto bene. Perchè il suo tutto bene è sempre un tutto bene fuori dal normale, un tutto bene fatto di solitudine, che gli altri non conoscono. E tutto è sovvertito e le leggi di natura sono relative e la paura è sempre lì.

Diventare genitore di una persona che ha vissuto sedici anni senza di te è molto simile. Io la prendo quasi sempre bene. Ci scherzo sopra di continuo, e la scenetta delle tre amiche a cui non tornano i conti delle somiglianze mi ha fatto ridere di cuore. Ma la Princi vuole le lenti a contatto colorate, perchè sia io che l'Uomo abbiamo gli occhi verdi e lei è stufa di non avere niente in comune con noi.

E a me oggi è tornata in mente una scena di un due o tre anni fa, quando sono andata dal mio medico e gli ho chiesto delle sue figlie, tre meravigliose ragazze ormai grandi: due figlie naturali, e la più giovane adottiva. E lui mi ha detto, con tono afflitto, che a casa erano tutti un po' in crisi, perchè aspettavano un nipotino, e invece c'era stato un aborto spontaneo. E ci erano rimasti male.
"Ma Doc, c'è qualcosa di grave, o è stata una cosa così, di quelle che capitano, come è successo a me?"
"Ma no, è un incidente, non ha nessun motivo in realtà per non riuscire ad avere figli."
"E allora arriveranno, vedrai."
"Sì, lo so... ma è la figlia che abbiamo adottato in Brasile, sai, e allora... forse c'era un po' di, sai... aspettativa in più..."
E gli è venuto da piangere. Al mio Doc, che prende sempre per il culo tutto e tutti.
Capivo, allora, che ci fosse un investimento diverso, su di lei, rispetto alle altre due. Un desiderio ancora più grande di realizzare cose belle e buone, l'incredulità di fronte a successi inizialmente insperati. Ma adesso capisco molto meglio.
 

 
 

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