Oggi alle cinque di pomeriggio mi sono rimessa in pigiama, perchè ne avevo fatte più che Carlo in Francia, compreso pagare 8800 euro tra bollette, multe e amministrazioni arretrate, e volevo un momento di pausa, con l'Uomo tornato finalmente da Genova e la Princi e Deliziosa, la sua amica che è ospite da noi, fuori con gli amici, giù al centro sportivo (collezioniamo multiple gite in farmacia per piccoli incidenti, il dito ammaccato da una schiacciata a beach volley, una pallonata in faccia a calcio, ma siamo passati da "oddio il dito sarà rotto? Ahia papàààà andiamo al pronto soccorso ho male ahia" a "aspetta me la faccio da sola la fasciatura, ho visto la volta scorsa come si fa, il Voltaren ce l'ho già messo").
Ho aperto il romanzo che stamattina mi ha dato mia madre, di Valeria Parrella, e sono precipitata nel terrore. Perchè è la storia di una madre che ha paura. E io in fondo,come madre, sono costruita interamente sulla paura.
La paura che mi portassero via la Princi. La paura di non saperla proteggere. La paura di non essere sulla stessa sintonia dell'Uomo quando interveniamo nella sua educazione.
La paura di chiederle troppo.
La paura di vederle imparare troppo poco.
La paura della droga. La paura della droga è seconda solo alla paura di una gravidanza precoce. La droga, le pasticche, gli spinelli, mi gettano nel terrore. Istintivamente la annuso e le guardo il colore della sclera ogni volta che la vedo rientrare in casa. E' pulita. Ma cosa faremmo se un giorno non lo fosse?
Poi in questi giorni sono successe alcune cose che mi hanno fatto riflettere.
Il primo luglio raggiungo l'Uomo, i suoi colleghi, i suoi alunni e la Princi alla festa di fine anno. Che lui organizza al mare, in un baracchino paradisiaco che fa il fritto di pesce sulla terrazza di legno davanti alla spiaggia, e poi si mette la musica e i ragazzini ballano. Essendo in riviera di Ponente, vengono a cena anche i suoceri, quelli liguri. Il Suocero Aggiunto va via prima di cena, perchè ha il Gigantesco Mostro Bavoso da portare a casa, lei invece si trattiene un po' di più e quando arrivo è ancora lì. Io vengo dai casini inenarrabili che sappiamo e da una grande stanchezza lavorativa, è il primissimo giorno senza impegni scolastici, e mi godo tantissimo l'essere lì, con un vestitino leggero, le scarpe aperte con il tacco, l'aria di mare sulla pelle, il buio, la musica. Arrivo, e non mi pare vero di sedermi in pace davanti alla Biosuocera, con mio marito vicino, e per prima cosa chiedo se la Princi ha mangiato, come sta etc. Ho voglia di parlare di lei, è il primo giorno che è sul serio nostra figlia anche sui documenti, sono elettrizzata dal senso di euforia che mi dà questa consapevolezza. La Biosuocera mi dà corda fino a un certo punto. Poi quando si alza per andarsene la accompagno alla macchina, approfitto per accendermi una sigaretta, e appena siamo fuori portata d'orecchio rispetto agli altri lei attacca, a bruciapelo:"E certo però che è grande, insomma, questa è una cosa a termine, tra un anno ha diciotto anni, ragazzi! Sicuramente può andar bene per fare un'esperienza, però non è, voglio dire, è grande..."
Lo ripete tre volte, tra lo stabilimento balneare e la macchina. Io non replico.
Mia figlia. Mia figlia va bene per fare un'esperienza. E menomale che mia suocera è una donna dolce e accogliente, che ha lavorato nel sociale tutta la vita, una che mai più mi sarei aspettata facesse un discorso del genere, e così il fattore sorpresa mi ha impedito di reagire a caldo. Ma ho passato un mese intero a coltivare uno sbalordito senso di offesa, talmente profondo che rischia di durare nei secoli.
Poi qui in montagna ne succede un'altra, di segno opposto.
La Princi sta tornando da uno dei suoi giri in paese, arriva lungo la stradina e incrocia mia madre, in vacanza nel palazzo di fianco al nostro. E mia madre, che mi aveva salutato un minuto prima, le dice: "Oh ciao. Tua mamma è appena salita in casa".
La Princi arriva su e mi riferisce, esterrefatta, questa frase. Io sono seduta con in mano spazzola e phon, lei mi sta raccogliendo tra le dita le ciocche da pettinare, e la sensazione che mi fa è quella che la stanza si sia letteralmente ribaltata, come per un terremoto. Una cosa tipo quelle onde che ti incappellano all'improvviso mentre stai nuotando e ti fanno fare un giro completo su te stesso.
"Ha detto così?"
"Sì...non me lo aspettavo."
"Nemmeno io."
"Mi ha fatto un effetto!"
"Sapessi a me."
Poi dopo un paio di giorni siamo a passeggio, io e mia madre, e io (che ormai parlo solo della Princi, in effetti) le racconto:
"Sai, l'altro giorno la Princi era con le ragazze che ha conosciuto qua, e una le dice: ma non vi assomigliate, tu e tua mamma. E un'altra: ma io l'ho vista con suo papà, non somiglia nemmeno a lui! E la terza interviene: no aspettate, vi spiego una cosa... Che scena, ma che ridere quando me l'ha raccontato. Io le ho detto: e tu stavi zitta? M'ha risposto: non sapevo cosa dire!"
Mia madre ride. E poi mi fa: "L'altro giorno mi sono sbagliata, l'ho incontrata e le ho detto: tua madre è in casa..."
"Sì, me lo ha raccontato, le ha fatto effetto."
"No sai, poi ho pensato che magari... cioè, non sapevo se potevo."
"Sì, che potevi" ho risposto. E poi, un po' tra i denti, ma forse non ha sentito perchè parlava già d'altro: "Più che altro, non sapevamo se volevi."
E dopo molti altri giorni non mi levo dalla testa il senso di vertigine che mi ha dato.
Passo il tempo a dire all'Uomo, e mica solo a lui, che non possiamo aspettarci che gli altri capiscano. Che non possiamo pretendere che si immedesimino. Ma poi mi rendo conto che dentro di me ci sono baratri bui, dove precipitano con un tonfo sordo le parole cattive o sbadate delle persone, come quelle di mia suocera, e altri nei quali all'improvviso si accende una fosforescenza sotterranea, quando succede una cosa come questa, una frase di mia madre che le scappa detta contro la sua volontà e rivela un riconoscimento a cui io avevo già rinunciato in partenza.
Così il libro della Parrella mi fa venire l'agitazione. Perchè è la storia di un figlio diverso dagli altri, che rende la madre diversa dalle altre. E del mondo alla rovescia vissuto da chi ha un figlio con un handicap. Chi muore di terrore anche quando va tutto bene. Perchè il suo tutto bene è sempre un tutto bene fuori dal normale, un tutto bene fatto di solitudine, che gli altri non conoscono. E tutto è sovvertito e le leggi di natura sono relative e la paura è sempre lì.
Diventare genitore di una persona che ha vissuto sedici anni senza di te è molto simile. Io la prendo quasi sempre bene. Ci scherzo sopra di continuo, e la scenetta delle tre amiche a cui non tornano i conti delle somiglianze mi ha fatto ridere di cuore. Ma la Princi vuole le lenti a contatto colorate, perchè sia io che l'Uomo abbiamo gli occhi verdi e lei è stufa di non avere niente in comune con noi.
E a me oggi è tornata in mente una scena di un due o tre anni fa, quando sono andata dal mio medico e gli ho chiesto delle sue figlie, tre meravigliose ragazze ormai grandi: due figlie naturali, e la più giovane adottiva. E lui mi ha detto, con tono afflitto, che a casa erano tutti un po' in crisi, perchè aspettavano un nipotino, e invece c'era stato un aborto spontaneo. E ci erano rimasti male.
"Ma Doc, c'è qualcosa di grave, o è stata una cosa così, di quelle che capitano, come è successo a me?"
"Ma no, è un incidente, non ha nessun motivo in realtà per non riuscire ad avere figli."
"E allora arriveranno, vedrai."
"Sì, lo so... ma è la figlia che abbiamo adottato in Brasile, sai, e allora... forse c'era un po' di, sai... aspettativa in più..."
E gli è venuto da piangere. Al mio Doc, che prende sempre per il culo tutto e tutti.
Capivo, allora, che ci fosse un investimento diverso, su di lei, rispetto alle altre due. Un desiderio ancora più grande di realizzare cose belle e buone, l'incredulità di fronte a successi inizialmente insperati. Ma adesso capisco molto meglio.
mercoledì 6 agosto 2014
domenica 3 agosto 2014
Briefing et cetera
Oltre ad essere manesca,
fedifraga e ovviamente inesperta, sembro, e probabilmente sono, una
madre deplorevole anche per il fatto che non racconto più niente da
mesi, su questo blog.
Il che va ascritto però
non solo al mio stato di grandissima agitazione interiore dovuto alla
disastrosa primavera, ma anche al fatto che le cose tra noi e la
Princi in ogni istante cambiano, evolvono, e contemporaneamente si
radicano e si innervano nella quotidianità.
In questi mesi la Princi
ha terminato il suo corso da parrucchiera, con buoni risultati. Si è
fatta dare il benservito dalla sua datrice di lavoro dello stage, che
a più riprese le aveva proposto di restare come apprendista. Ha a
sua volta dato il benservito al Bimbominkia, e per ora, sebbene mi
abbia parlato di enne alla miliardesima bei ragazzi interessanti, non
sembra averlo sostituito con un altro titolare. E' uscita
definitivamente dalla comunità. Vive da noi. Ha fatto l'animatrice
dei più piccoli al centro estivo della parrocchia di Paesino a
Punta. E' stata arruolata come animatrice (ma non è stata per nulla
utile in tal senso) al campo estivo della parrocchia medesima, dove
si è portata anche me, in veste di mamma ad interim di 90 minorenni.
Infine è partita con noi per la montagna.
Non penso siano queste le
cose che contano, però. Penso che quel che importa siano tutti
quegli indimenticabili attimi di cui non ho scritto sul blog, sebbene
mi traversasse il cervello, veloce come una stella cadente, il
pensiero che avrei dovuto immortalarli.
O, ancor di più, tutte le
abitudini che ora contraddistinguono la nostra vita.
E i lunghi discorsi che
facciamo.
Non si raccontano
facilmente queste cose.
Come potrei trasmettere il
momento in cui l'ho vista alla stazione che mi aspettava, la sera del
giorno in cui è morta la mia collega, e il mio spirito completamente
stravolto dal dolore improvvisamente ha registrato che la sua
presenza nel mio campo visivo era meravigliosa e consolante, persino
in una giornata come quella?
Come si racconta
l'abbraccio che ci siamo scambiate, senza fiato, così forte da farci
male, con le unghie piantate nelle spalle, il giorno che ci hanno
finalmente fatto firmare l'affidamento?
Come si dice in parole la
sensazione che provo quando io penso una cosa e lei un attimo dopo
apre la bocca e non solo la dice, ma usa le parole che avrei usato io
o a volte addirittura azzecca definizioni ancora più calzanti?
L'altro giorno mi ha
chiesto: “Ma io vorrei sapere: tu, quando ti chiedono com'è tua
figlia, cosa dici?”
Io ho pensato un attimo.
Non le ho detto la prima risposta che mi è venuta in mente: “che
sei una tigre, come me”.
Le ho detto: “Che mi
assomigli moltissimo.”
Poi ho precisato: “Di
solito, per prima cosa dico che sei grande, che hai diciassette anni.
Poi che sei bella. E dopo, che hai un caratterino, che mi assomigli
più di quanto sia credibile. E che la parola tranquillità è uscita
dal nostro vocabolario, da quando ci sei tu.”
L'Uomo la guarda con un
misto di tenerezza per tutte le sue piccole vittorie e di fastidio
per tutti i suoi piccoli fallimenti, è spesso teso, si vede il bene
che le vuole, ma anche la fatica che fa. E' preoccupato. Ma si occupa
di lei con un'attenzione enorme e per lei non è mai stanco.
Lei lo guarda come se
vedesse la cosa più bella dell'universo. Pende dalle sue labbra. Ha
imparato a non chiedere perchè ha l'umore che ha. Ha chiesto a me,
varie volte. Ha preso per buone le mie risposte. Lo rispetta, molto
più di quanto rispetti me.
Io e lei ci diamo per
scontate, molto spesso. Posso ancora giocare qualche volta la carta
“ehhh... la mamma vede!” e stupirla, dichiarando che “secondo
me” ci sono delle cose che non ci dice, e poi azzeccandole al
millimetro. Il che la lascia a bocca aperta.
Io non so se l'Uomo stia
registrando quanto è cambiata dall'anno scorso, o se veda solo che
non sa la tabellina dell'otto e che non si sa regolare coi soldi. Io
vedo tantissimi passi avanti.
Lavoriamo con un impegno
maniacale al suo ingresso nella nuova scuola, a settembre. Studiamo
inglese, storia, italiano e matematica. Fa progressi minuscoli che
per me sono enormi, per il solo fatto di essere quotidiani.
Acquisisce sicurezza e lessico, amplia le sue vedute. Parla di andare
a fare le vacanze studio in Inghilterra. Da quando siamo in montagna,
si è fatta raccontare qualche volta cosa leggiamo noi. Ha chiesto
cose di ogni tipo, complice il fatto di avere tutti tanto tempo a
disposizione:
“Come lo prendono il
sale dal mare?”
“Com'è fatta una
seggiovia?”
“Chi è Giancarlo
Giannini?”
“Quello è un cervo?”
“Quando è stata scritta
questa storia? Ma è una storia vera?” (parlava di “Romeo e
Giulietta” che le avevo appena raccontato)
Ma soprattutto, una volta
al giorno, di sua spontanea volontà guarda un telegiornale e a volte
lo commentiamo insieme. Questo non glielo ha proprio chiesto nessuno,
nemmeno indirettamente. Eppure, di colpo, lo fa. Cerco di pensare
quanti anni avevo io quando ho iniziato a seguire sistematicamente le
notizie dal mondo e non solo i singoli flash. Forse avevo appunto la
sua età.
E il fatto è che io
ultimamente penso molto spesso “avevo appunto la sua età” quando
lei fa o dice qualcosa, perchè sta, nel giro di poche settimane,
bruciando tappe e raggiungendo traguardi che ricalcano i miei, i
nostri.
Stasera l'ho portata a
cena con Cavallino, la sorella grande di Cavallino e i loro
rispettivi coniugi e figli. Età dei figli: sette Orsetto di
Montagna, e dieci e tredici i due nipoti di Cavallino. Perciò il
settenne e il decenne dopo un po' erano in braccio ai papà a giocare
coi telefonini, mentre il tredicenne ascoltava rispettoso la
conversazione delle mamme, e lei era coinvolta in questa, essendo
appunto ormai una signorina. Cavallino, che mi conosce da venticinque
anni e ha attraversato con me (o meglio, io ho attraversato a casa
sua, delle sue sorelle e di sua mamma, professoressa di Lettere)
appunto quell'età meravigliosa e tremenda dei diciassette, ricordava
i nostri pomeriggi di studio. Il nipote tredicenne sta per iscriversi
al classico nella nostra scuola e nella nostra sezione. La Princi
parlava (anzi, rispondeva a domande! In mezzo a estranei!) della sua
scelta della scuola superiore e intanto, discretamente, teneva
d'occhio i due più piccoli e osservava di sottecchi il più grande,
troppo bimbo per parlarci alla pari, troppo grande per trattarlo come
gli altri due. E' stata una serata bellissima.
Iscriviti a:
Post (Atom)